“Se Svezia e Finlandia decidono di entrare nella Nato saranno accolti a braccia aperte”, ha detto giovedì il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg. “Mi aspetto che il processo sia veloce dopo che le formalità saranno espletate”. Ma per quanto potrà essere veloce, secondo Federica Favuzza, ricercatrice di Diritto internazionale del dipartimento di Studi internazionali, giuridici e storico-politici dell’università statale di Milano, non potrà essere istantaneo: “Il protocollo di adesione di una paese al Trattato del Nord Atlantico deve essere ratificato da tutti gli Stati che già ne fanno parte e ognuno ha la sua procedura a tal fine. Nel caso sia necessario il coinvolgimento del Parlamento, come previsto in Italia per i trattati di natura politica, potrebbero anche essere necessari diversi mesi”. La ratifica del protocollo di adesione è solo l’ultimo step del percorso di adesione, i cui requisiti generali vengono definiti dall’articolo 10 del Trattato del Nord Atlantico del 1949 su cui si fonda la Nato. Requisiti che Svezia e Finlandia sono probabilmente già in grado di soddisfare.

L’articolo 10 stabilisce che gli stati membri possono invitare ad aderire, con accordo unanime, qualsiasi paese che soddisfi tre condizioni. In primis si deve trattare di un paese europeo, e su questo ci siamo. Seconda condizione: il paese aspirante deve essere “in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato”. Sono i principi espressi nel preambolo, che fa riferimento a cose come il “desiderio di vivere in pace con tutti i popoli e con tutti i governi”, la libertà dei popoli, i principi di democrazia, il benessere e la stabilità nella regione dell’Atlantico settentrionale, l’unione degli sforzi “in una difesa collettiva e per la salvaguardia della pace e della sicurezza”. Tutti principi generali che è difficile possano essere contestati a due paesi che fanno già parte dell’Unione europea.

Quello più delicato è il terzo requisito, secondo cui il paese invitato deve essere in grado di “contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. Concetto che viene definito un tantino meglio in un documento del 1995 intitolato “Studio sull’allargamento della Nato”, dove si fa esplicito riferimento all’obiettivo di “aumentare la sicurezza e la stabilità nell’area euro-atlantica”. Secondo alcuni commentatori l’ingresso di Svezia e Finlandia non aumenterebbe affatto la sicurezza degli Alleati ma la diminuirebbe, visto che la Russia potrebbe reagire militarmente. Secondo Favuzza, “si tratta in ogni caso di valutazioni non di carattere giuridico, ma politico-militare”. E dalle parole di Stoltenberg si può dedurre una cosa: che gli Alleati abbiano già stabilito che l’adesione dei due paesi scandinavi non allontanerà dagli obiettivi di sicurezza.

“Il documento del 1995 – spiega la ricercatrice – stabilisce una serie di principi sui quali devono essere basate le decisioni sull’adesione. Ma non dà una lista chiusa ed esaustiva di criteri che spieghino le condizioni stabilite dall’articolo 10. Riguardo al requisito di contribuire alla sicurezza, per esempio, si stabilisce che si dovrà verificare in quale modo lo stato intenda contribuire alle missioni di peace keeping o alle altre operazioni della Nato. O come intenda integrarsi nella struttura militare della Nato. Tutte valutazioni che dipendono dalle negoziazioni tra la Nato e il singolo Paese che intende aderire”. Tra i principi da rispettare ci sono poi cose come “promuovere giustizia sociale e responsabilità ambientale” o assicurare “un adeguato controllo democratico e civile delle forze armate”. Obiettivi piuttosto scontati, quantomeno su un piano teorico, per paesi europei come Svezia e Finlandia.

La questione più significativa diventa allora quella dei tempi, di solito piuttosto lunghi. L’invito formale ai colloqui per l’adesione, che anticipa la firma del protocollo di adesione, arriva di solito dopo un lungo percorso in cui il paese aspirante partecipa al Piano d’azione per l’adesione (MAP). Secondo la definizione che ne dà il sito della Nato, il MAP è “un programma di consulenza, assistenza e supporto pratico adattato alle esigenze individuali dei paesi che desiderano aderire all’Alleanza”. È proprio questa la fase in cui i paesi si preparano a soddisfare i requisiti previsti dall’articolo 10 e dal documento del 1995 attraverso programmi su aspetti politici, economici, di difesa, risorse, sicurezza e legali.

Il Montenegro ha aderito al MAP a fine 2009, per poi diventare membro dell’Alleanza solo nel 2017. La Bosnia-Erzegovina, che non fa ancora parte della Nato, ha iniziato la sua partecipazione al Piano d’azione nel 2010. Ultimo stato ad aderire alla Nato, la Macedonia del Nord ha avviato il suo MAP addirittura nel 1999 per arrivare i colloqui per l’adesione nel 2018 e diventare membro dell’alleanza solo nel 2020. “Ma in questo caso c’era da risolvere il problema del nome dello stato stesso, su cui si è arrivati a un accordo con la Grecia solo nel 2018 – spiega la ricercatrice. – È probabile che per Svezia e Finlandia il MAP sarà piuttosto breve, visto che collaborano da molti anni con la Nato con esercitazioni congiunte e altre forme di cooperazione”. Un’ipotesi che sembra trovare conferma nelle parole di Stoltenberg: “Le loro forze hanno gli standard dell’Alleanza, abbiamo condotto insieme molte missioni”, ha detto il segretario generale nell’auspicare una rapida adesione.

Potrebbe succedere che la loro adesione nemmeno venga fatta passare per il Piano d’azione? “In tal caso – risponde la ricercatrice – non ci sarebbe alcuna violazione del Trattato del Nord Atlantico, che non cita mai il MAP. Si tratterebbe soltanto di una eccezione nella prassi”. Data per scontata la volontà di tutti i membri di accettare Svezia e Finlandia nella Nato, la fase più lunga per arrivare all’adesione sarà probabilmente la ratifica del protocollo da parte di ogni singolo stato. E qui, qualche intoppo, potrà esserci.

Studio sull’allargamento della Nato

@gigi_gno

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