La rabbia della parte del Paese che non l’ha scelto, gli sforzi di chi lo ha votato per bloccare l’estrema destra e il silenzio di chi si è astenuto. Emmanuel Macron ha aperto il brevissimo discorso della vittoria rivolgendosi a quella Francia che gli ha voltato le spalle o che lo ha sostenuto solo per evitare la vittoria di Marine Le Pen. “Si apre una nuova era”, ha detto davanti alla folla di sostenitori che ha radunato sotto la Torre Eiffel. Ma, ha ammesso, “dovrò rispondere alla rabbia del Paese”. Dare “risposte” a tutti coloro che hanno ribadito di non essere dalla sua parte: “Non sono il presidente di una parte, ma di tutte e di tutti i cittadini francesi”, è stato il messaggio. E “ce vote m’oblige” per gli anni futuri, “questo voto mi obbliga”, la formula chiave che ha pronunciato e che rievoca le parole (molto simili) usate cinque anni fa. Ma l’impresa, al di là di promesse e intenzioni, si presenta già molto difficile.

La camminata, la torre Eiffel, l’inno alla gioia (e il dj) – Il leader di En Marche, proprio come fece cinque anni fa sulla spianata del Louvre, non ha rinunciato all’entrata “trionfale” per il comizio delle celebrazioni. E in quei lunghi minuti di camminata, seguiti da decine di telecamere, hanno raccontato ai francesi molto più delle parole. Questa volta infatti Macron, invece di presentarsi da solo, ha cercato di spingere a tutti i costi sull’empatia e allontanare in qualche modo l’immagine del presidente-re: si è fatto accompagnare mano nella mano dalla moglie Brigitte e da un gruppo di ragazzi e ragazze. Ha fatto qualche sorriso, si è mostrato emozionato. Ha convinto gli spettatori? Difficile da dire, di certo c’è che la telecronaca si è bloccata nel cercare di capire chi fossero i giovani scelti e perché. Intanto, in sottofondo, risuonava l’inno alla gioia di Beethoven: una scelta che, come nel 2017, vuole stampare nella testa degli elettori che hanno votato per la Francia, ma soprattutto per l’Europa. Prima e dopo l’intervento però, la musica era in mano a un deejay, con tanto di piattaforma al centro della scena e hit dance sparate a tutto volume. A fare da cornice una Tour Eiffel illuminata, lì dove si festeggia di solito la festa nazionale del 14 luglio e che niente ha a che vedere con la Bastiglia dove Hollande radunò i suoi.

Il dialogo urgente da aprire con chi non lo ha votato – “Grazie amici”, ha esordito Macron sul palco allestito nel giardino dei Champ-de-Mars, “dopo cinque anni di trasformazioni, di momenti felici e difficili, di crisi eccezionali, la maggioranza di voi mi ha dato fiducia per un’Europa più forte. Libereremo la creatività e l’innovazione nel nostro Paese e faremo della Francia una grande nazione ecologica“. Nel prossimo quinquennato, lo ha ricordato quasi subito, il presidente dovrà affrontare sfide internazionali che hanno pochi precedenti: “Abbiamo tanto da fare e la guerra in Ucraina è qui per ricordarci che stiamo attraversando dei tempi tragici in cui la Francia deve portare la sua voce e la chiarezza delle sue scelte e costruire la sua forza in tutti gli ambiti e lo faremo”. Ma di programma e dinamiche internazionali ha parlato molto poco. Macron come prima cosa ha voluto cercare di aprire una via di dialogo con quella parte del Paese che o non lo ha voluto votare o che lo ha fatto solo a malincuore per rifiuto della sua avversaria. “So che molti dei nostri connazionali oggi hanno scelto l’estrema destra”, ha detto, e “dovrò trovare una risposta alla rabbia e al disaccordo che li ha portati a votare per questo progetto. Sarà una responsabilità mia e di chi mi circonda”.

Macron si trova a governare, ancora, il Paese all’epoca delle crisi: quella sociale prima, poi pandemica e ora militare. E non può non tenere conto dei segnali di malcontento arrivati durante la campagna elettorale e poi confermati dalle urne. Non sono una novità, ma la verità è che a lungo negli anni scorsi ha deciso di ignorarli. Ora si trova a dover affrontare i fatti: l’astensione ha toccato picchi da record e oltre il suo zoccolo duro di consensi, in tanti si sono compattati su di lui solo per il timore di cosa sarebbe successo se a vincere fosse stata Le Pen. “So che un certo numero di francesi mi ha scelto per fare barriera contro l’estrema destra e non condivide le mie idee”, ha detto. “Li ringrazio e voglio dire loro che sono depositario del loro voto”. Ma non solo. Macron ha continuato rivolgendosi a chi invece alle urne neanche ci è andato: “A chi si è astenuto dico che il vostro silenzio ha significato un rifiuto di scegliere al quale noi dobbiamo dare delle risposte“.

La necessità di rianimare un progetto e le promesse – Governare così, non potrà che essere complicato. Il presidente ha promesso “una nuova era” in Francia che non sarà “il proseguimento dei cinque anni che si chiudono”: “Nessuno sarà lasciato indietro”, ha detto. Per Macron soprattutto, ora si apre la sfida di ridare linfa al suo progetto. Cinque anni fa era il nuovo, quello che dopo aver strappato a sinistra, creò un partito tutto suo e che aspirava a spaccare le dinamiche dei partiti tradizionali. Oggi viene ormai percepito a destra e lui stesso fatica a scollarsi di dosso l’immagine di “presidente dei ricchi”. Di tutto questo peso dovrà liberarsi se vuole puntare a recuperare una parte ormai maggioritaria del Paese. E intanto, deve tornare a proporre un programma che sappia guardare al futuro perché anche l’elettorato più giovane lo possa vedere come un interlocutore affidabile. Stasera qualcosa ha detto: ha promesso di voler lavorare perché si possa “vivere più felici in Francia”. Ha auspicato anche “l’invenzione collettiva di un nuovo metodo per cinque anni migliori al servizio del nostro Paese, dei nostri giovani”. E ha chiuso: “Continuerò a lavorare per una società più giusta e per l’uguaglianza tra donne e uomini, dovremo essere esigenti e ambiziosi”. Sono promesse, vanno bene il tempo di un discorso sotto la Torre Eiffel per celebrare una vittoria. E sono destinate a evaporare in fretta. Da ora iniziano le partite più complesse, senza dimenticare che per Macron è l’ultima rielezione possibile: ha solo cinque anni per costruire un altro leader o un’altra leader che sappia riunire il Paese. E che, probabilmente, si ritrovi poi a sfidare l’estrema destra.

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