Gli infortuni sul lavoro – che solo nei primi due mesi dell’anno sono costati la vita a 114 persone – “divorano” dal 3 al 6 percento del Prodotto interno lordo (Pil). Una stima che emerge dall’analisi di dati della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, istituita dal maggio 2021, e che è possibile leggere nella relazione di circa 400 pagine. La Commissione, presieduta dal senatore Gianclaudio Bressa, ricorda che in Italia, secondo stime dell’Inail, il danno economico causato da infortuni e malattie professionali è risultato, nel 2007, pari a quasi 48 miliardi di euro, ovvero più del 3% del Pil, ma gli studi internazionali, riportati nella “Relazione intermedia sull’attività svolta” della Commissione, indicano che l’incidenza stimata dei costi totali sul Pil è significativamente superiore anche ai dati europei finora conosciuti, e vede la percentuale più alta per la Polonia (10,2%), mentre per l’Italia raggiunge il 6,3% del Pil.

Stimare gli impatti economici e sociali di sfruttamento e mancata tutela di salute e sicurezza sul lavoro non è semplice, ma secondo la Commissione occorre al più presto trovare un sistema di misurazione condiviso, un indicatore economico che consenta di valutare i danni dell’inosservanza delle norme e al tempo stesso i benefici che derivano dall’applicazione delle normative in materia di sicurezza e di regolarità del rapporto di lavoro, considerando anche il return on prevention per l’Italia (in vari paesi del mondo si attesta su 2,2, cioè per ogni euro speso vi è un ritorno positivo che va oltre il doppio).

Ci sono ovviamente le vite perse per cui la Commissione indica uno dei motivi nella spasmodica ricerca di risparmio dei costi che è spesso attuata a svantaggio della sicurezza sul lavoro. E il mezzo per realizzare tali risparmi sono le cooperative “spurie”, che nascono e muoiono giusto il tempo della durata di un appalto o di un subappalto. La logistica è il settore che di più soffre situazioni borderline con soggetti che utilizzano manodopera irregolare o applicano ai dipendenti contratti collettivi con meno diritti e meno tutele di quelli previsti dal contratto nazionale di categoria della Logistica e dei Trasporti. Il nuovo “caporalato” nei magazzini, non risulta ancora documentato in modo rigoroso, ma è del tutto simile a quanto avviene in agricoltura. Nel comparto la Commissione ha registrato fenomeni di severo sfruttamento lavorativo, con controlli e ritmi serrati che ricalcano le condizioni di lavoro nelle catene di montaggio degli anni Sessanta. Non a caso le vittime degli incidenti sul lavoro sono, la maggior parte delle volte, gli anelli deboli della catena lavorativa. Se a subire quasi sempre gli eventi lesivi sono gli operatori della fascia più bassa, evidentemente vi è un sistema dell’impresa che spesso, soprattutto in alcune imprese medie o piccole, non presta la dovuta attenzione agli obblighi della sicurezza e scarica sui lavoratori i deficit dell’ambiente di lavoro.

Nei comparti del corrierato, dei trasporti a lunga percorrenza e del magazzino si ravvisano “segnali di grave sfruttamento lavorativo“, sulla base di alcuni indicatori (a livello internazionale ed in base alle norme italiane): il modello occupazionale di questi segmenti, infatti, “si innesta nella vulnerabilità della forza lavoro del settore (la precarietà, la nazionalità straniera, e in alcuni casi specifici, l’uso di sostanze stupefacenti)”, e “attraverso l’uso di minacce, ricatti e in alcune circostanze di sistemi di controllo degradanti e violenza psicologica” sono imposti condizioni e ritmi di svolgimento delle mansioni “che non rispettano i contratti nazionali”. Secondo la Commissione “le esigenze dei ritmi degli spostamenti delle merci – si sottolinea – sono imposti dalle aziende, al di là delle norme dei contratti nazionali sull’orario e sul riposo, e sono scaricati all’esterno, attraverso un sistema diffuso di subappalti a cooperative, in larga parte spurie, o false cooperative”. Il testo parlamentare, poi, mette in luce come “la diffusione dell’e-commerce si sia inserita in un contesto di diritti già di per sé critica, contribuendo a inasprire alcune condizioni di irregolarità degli orari di lavoro e di disponibilità giornaliera” degli addetti. “È perciò necessario – osserva la Commissione parlamentare – che la politica di esternalizzazione dei servizi logistici alle cooperative venga modificata, almeno in parte, in direzione di una reinternalizzazione dei servizi logistici e della forza lavoro”, anche “rafforzando i meccanismi di verifica sulle cooperative”.

“Dobbiamo cominciare a parlare di nuovi diritti digitali del lavoro – dice Bressa -. Se il lavoro è cambiato e si sta evolvendo, se oggi parliamo di transizione digitale in atto, non dobbiamo pensare che il lato oscuro del mercato del lavoro non evolva. L’utilizzo sempre più massiccio delle nuove tecnologie ha fatto emergere il fenomeno del “caporalato digitale“, dove i lavoratori della gig economy hanno sostituito i braccianti agricoli”. Ecco, prosegue il presidente, “allora, che il pericolo più profondo è che l’algoritmo e, più in generale, l’intelligenza artificiale possano diventare strumenti senza controllo”.

Articolo Precedente

Lavoro, Inps: “A gennaio +104mila contratti stabili e 27mila a termine”. Boom delle somministrazioni: +40mila in un mese

next
Articolo Successivo

Incidenti sul lavoro, cade da 7 metri: morto operaio di 60 anni. Cgil Perugia: “Due vittime in 10 giorni”

next