Caro energia e materie prime che non si trovano, blocco dell’export verso la Russia e interventi del governo insufficienti: l’industria del vetro deve far fronte a tutte queste difficoltà per sopravvivere alla bufera che si è abbattuta sull’economia italiana e mondiale negli ultimi mesi. Nonostante i buoni numeri del 2021, il comparto inizia ad accusare il colpo. “Stiamo lavorando con margini negativi ma cerchiamo di resistere: siamo un’azienda finanziariamente solida e possiamo sopportare per un po’”, commenta Antonio Di Giuseppantonio, direttore generale di Bormioli, una delle realtà più importanti nel settore del vetro in Italia. “A parità di produzione, nei primi tre mesi di quest’anno abbiamo speso per il gas e l’energia elettrica 27 milioni di euro in più rispetto allo stesso periodo del 2021″, prosegue il dirigente. E a valle le difficoltà dei 14 produttori nazionali di vetro cavo, usato per la realizzazione di contenitori, si trasmettono ad altri settori come quello della produzione di vino.

Anche se i prezzi sono calati dal picco di marzo, la situazione rimane comunque critica. La discesa registrata il 14 aprile, quando il metano è passato da 107 euro al Megawatt/ora a 92 euro, può aiutare, “ma si tratta sempre di valori importantissimi: l’anno scorso pagavamo il gas 20 euro”, spiega Di Giuseppantonio. Insomma, i costi della bolletta energetica per le imprese restano insostenibili. E gli interventi del governo sono ritenuti tardivi e insufficienti. “Siamo davanti a un problema strutturale che va risolto con misure ponderose” mentre quello fatto finora è stato soltanto “un aiutino”. Il decreto energia varato il 21 marzo prevede, per il secondo trimestre, un aumento dei crediti di imposta per le aziende energivore dal 20 al 25% e per quelle con elevati consumi di gas dal 15 al 20%. Questo a fronte “di incrementi dell’energia elettrica e del metano di quattro, cinque o sei volte a seconda del periodo” sottolinea il dg di Bormioli.

Anche l’idea di destinare una quota della maggiore estrazione nazionale alle imprese a prezzo calmierato è ancora piuttosto vaga. “Il mercato dell’energia”, continua il dirigente, “è dominato da logiche apertamente speculative sulle quali i governi devono intervenire”. Il rischio paventato da molti è che il trend dei rincari diventi insostenibile, costringendo le aziende a ricorrere alla cassa integrazione. “Non possiamo neanche aumentare troppo i prezzi per non perdere competitività nei confronti dell’estero”, sottolinea Di Giuseppantonio. Bormioli, infatti, realizza l’85% del proprio fatturato (500 milioni di euro nel 2021) fuori dall’Italia. “In Francia e Germania, dove si trovano i nostri maggiori concorrenti, pagano il gas e l’energia elettrica molto meno di noi, sia perché lo Stato ha fatto interventi più massicci, sia perché hanno un diverso mix energetico”.

Ad aggravare il quadro ci sono poi i problemi nelle forniture e i rincari di tutto ciò che serve a produrre il vetro. Come le altre imprese del settore, anche Bormioli ha subito in modo molto pesante gli aumenti delle materie prime. Tra queste spicca la soda – ingrediente fondamentale per realizzare il vetro – il cui prezzo è raddoppiato in meno di un anno. Molti la importano dalla Russia, uno dei maggiori produttori al mondo, e stanno avendo grosse difficoltà a rifornirsi. Difficoltà che hanno riguardato anche Bormioli, sebbene l’azienda acquisti la soda soltanto dalla Turchia. “A febbraio e marzo ci sono stati dei problemi nelle consegne” spiega Di Giuseppantonio, “ma si sono risolti”. Il vero cruccio per l’impresa sono i prezzi, decisi in regime di quasi monopolio dai produttori. “In Europa ci sono in pratica soltanto due fornitori e fanno quello che vogliono” prosegue il dg, “abbiamo stipulato contratti con quantità fisse: se volessimo aumentare la produzione non avremmo abbastanza soda per farlo”. Questo mentre i prezzi sono variabili e dipendono dall’andamento del mercato. E siccome per produrre la soda si consuma molta energia, alcuni contratti conclusi a ottobre e novembre, quando si intravedevano i primi rincari, sono stati indicizzati alle quotazioni dell’elettricità.

Ma anche altre materie prime sono aumentate, seppure in modo meno drammatico. “Importiamo circa il 90% del nostro fabbisogno e risentiamo molto dell’andamento dei prezzi sui mercati internazionali. Materie prime come la sabbia, che acquistiamo dal Belgio e dalla Francia, sono cresciute del 15-20%”. Inoltre, Bormioli sta accusando le conseguenze delle sanzioni decise dai Paesi occidentali contro Mosca. Ciò che rende difficile se non impossibile fare affari nel Paese è soprattuto il blocco delle transazioni, che colpisce anche quelle imprese a cui non è stato vietato di esportare. “Tra Russia, Bielorussia e Ucraina prevediamo di perdere entro la fine dell’anno circa 15 milioni di euro, il 3% del nostro fatturato”, spiega Di Giuseppantonio. A lanciare l’allarme sui rincari è stato, nei giorni scorsi, il presidente della sezione vetro cavo di Assovetro, Marco Ravasi. Secondo i dati dell’associazione, i costi delle imprese del settore – che conta quasi 8mila addetti e 2,4 miliardi di fatturato – sono quadruplicati. Per farvi fronte, l’imprenditore ha chiesto al governo un confronto nel quale discutere “agevolazioni sul sistema gas specifiche per le aziende energivore”.

A valle, tutti questi problemi si ripercuotono sui produttori vinicoli. “Le cantine sono sempre più preoccupate per l’aumento dei prezzi dell’energia e delle materie prime” ha sottolineato la presidente di Federvini, Micaela Pallini, durante il Vinitaly. Soprattutto il vetro, di cui “l’Ucraina era fonte di approvvigionamento” mentre “adesso la produzione è ferma”. Non solo: “Nel Donbass si ricavava la soda che è un altro componente del vetro”. E in Europa “la capacità di produzione del vetro in Europa è abbastanza limitata, sono rimasti solo 2, 3 grandi gruppi”. Ma anche sul fronte export le notizie non sono positive. La Russia infatti “valeva circa 200 milioni di euro e il mercato ora è fermo”, ha spiegato Pallini, “i pagamenti sono praticamente impossibili e la capacità di spesa dei russi è limitata”. Anche il Gruppo Caviro, cooperativa da 390 milioni di euro di fatturato, fa i conti con le conseguenze “di natura commerciale, industriale e operativa” della guerra. La “carenza di produzione di vetro si sta ribaltando sulle attività produttive di vendita del resto del gruppo” ha spiegato al Vinitaly il direttore generale dell’azienda, SimonPietro Felice, “a noi mancano bottiglie di vetro per vendere anche negli altri Paesi” come Stati Uniti, Giappone e Cina.

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