Accompagnata da applausi scroscianti e folle festanti, si annuncia un’incredibile innovazione digitale offerta dal Comune di Bologna che viene subito benedetta dai tecnofelici dei nostri giorni. Non discuto ovviamente l’importanza della digitalizzazione e della condivisione di dati nelle Pubblica amministrazione (Pa) per favorire i servizi on line in favore di cittadini e imprese, come del resto da tempo previsto in Italia dal Codice dell’amministrazione digitale. Ma – come annunciato in pompa magna in un’intervista video dall’assessore all’agenda digitale Massimo Bugani – l’amministrazione comunale bolognese ha in cantiere un piano di innovazione digitale che da qui al 2024 promette di cambiare radicalmente il rapporto tra cittadini e macchina comunale, suggerendo scenari orwelliani che ci avvicinano non poco a ciò che sta già succedendo da tempo e spensieratamente in Cina (e purtroppo anche in alcuni paesi europei).

Si tratta, in particolare, del progetto di sviluppo in via sperimentale del cosiddetto “gemello digitale” dei cittadini, cioè di un vero e proprio avatar generato dalla gestione condivisa di enormi database (una “marea di dati”, come li definisce orgogliosamente Bugani) che certamente comporta il beneficio di accelerare taluni processi amministrativi, ma – come tutte le semplificazioni – tale processo di innovazione può comportare seri rischi per i diritti e le libertà – non solo digitali – dei cittadini sotto questa lente di controllo pubblica.

A maggior ragione se si intende favorire i più virtuosi con la predisposizione di un vero e proprio “Smart Citizen Wallet”, ovverosia un credito sociale – attribuito secondo meccanismi premiali tipici dei sistemi di social scoring – per comportamenti virtuosi che consentono l’accesso per i cittadini a vantaggi dedicati. Insomma, viene proposto allegramente un bel concorso a premi per cittadini totalmente trasparenti agli occhi di una vorace Pa (a proposito, ma era la Pa piuttosto a dover essere trasparente?). In estrema sintesi, la Pa dirà a questo “cittadino perbene” – che non prende sanzioni, è culturalmente attivo e si comporta in modo ineccepibile: “noi ti vediamo e ti riconosciamo con un punteggio e questo entrerà in una premialità circolare per cui il cittadino avrà dei vantaggi economici effettivi”, come dichiara tranquillamente l’assessore.

Ci può piacere tutto questo? Non tanto. Del resto, già qualche settimana fa, a proposito dei rischi del green pass, sostenevo che non è in contestazione lo strumento vaccinale, ma il metodo utilizzato dal nostro governo per imporlo. Inizieremo forse in futuro, sull’onda di altre emergenze magari di natura economica, a legittimare strumenti simili al green pass di compressione di diritti fondamentali per chi non ha pagato regolarmente le bollette? O per chi non ha pagato regolarmente le tasse e non le ha rateizzate? O – perché no? – per chi non ha un solido conto in banca?

Purtroppo, pur se questi paragoni ad alcuni sono sembrati una fantasiosa iperbole, non si può negare che ci sia una preoccupante escalation che sta aprendo – giorno dopo giorno – una grave voragine nelle garanzie normative di tutela di nostri diritti e libertà fondamentali, che potrebbe finire per aprire la strada a scenari di soluzionismo semplicistico ancora più inquietanti.

Tuttavia, non avrei potuto immaginare di dover leggere – a distanza di poco tempo – che nel nostro Paese si sarebbero adottati da parte di amministrazioni pubbliche dei preoccupanti strumenti di social scoring, benedetti come miracoli tecnologici da un Comune come quello di Bologna. Sul tema mi permetto di ricordare che, peraltro, se dovesse entrare in vigore – e spero che accada presto – la proposta di regolamento Ue sull’Intelligenza Artificiale, l’uso di sistemi di social scoring (quindi di strumenti simili a ciò che propone oggi il Comune di Bologna) da parte delle autorità pubbliche rientrerebbe tra i sistemi di IA a rischio inaccettabile, quindi sarebbe da considerarsi vietato.

Inoltre, la leggerezza con cui si vorrebbe superare il “problema privacy” garantendo che il sistema funzionerebbe solo previo consenso del cittadino, che liberamente potrebbe scaricare la relativa app resa disponibile dal Comune, lascia a dir poco perplessi. Ricordo in merito che il considerando 43 del Gdpr (cioè il Regolamento Ue sulla protezione dei dati personali) sconsiglia espressamente di adottare il consenso come base giuridica da parte di enti pubblici.

Insomma, ho la spiacevole sensazione che tale è la scarsa cultura in materia di protezione dei dati personali che – lo ricordo – tutela nostri diritti e libertà fondamentali (e tale è l’inebetimento tecnologico che caratterizza il particolare periodo che stiamo vivendo), che ci sia il rischio reale che il caso del Comune di Bologna non resti per nulla isolato nel nostro Paese, ma sia anzi d’esempio per altre zelanti Pa pronte a fare dei salti lungimiranti verso l’innovazione digitale, avvicinandoci con incredibile inconsapevolezza alle dinamiche delle società di alcuni regimi caratterizzati da un discutibile livello di democrazia, come la Cina. Il rischio, dunque, è quello di importare e diffondere nella nostra società libera e democratica una copia made in Italy dei sistemi di social scoring made in China.

Spero almeno che sia stato avviato l’iter di consultazione preventiva del Garante per la protezione dei dati personali, previa valutazione di una robusta data protection impact assessment, come sarebbe previsto dal Gdpr per trattamenti su larga scala di questa natura. E magari il Garante possa così porre un progetto del genere su altri, più seri e meno irresponsabili, binari digitali.

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