di Riccardo Mastrorillo

Dobbiamo ringraziare la destra italiana, perché è l’unica in Italia che tiene viva la lotta di classe. I partiti di destra si sono immediatamente ricompattati sulla contrarietà assoluta alla riforma del catasto. Sono tanti gli ultrà liberisti, i fascisti e i liberaloidi che in questi giorni si sono distinti nel sostenere la tesi: “la loro priorità è la riforma del catasto”, lasciando intendere che vi sono cose più importanti. Alcuni giornali “di classe” hanno sostenuto, senza esitazione, la tesi che questa riforma avrebbe portato ad aumenti indiscriminati delle tasse anche del 174%.

La questione è molto semplice, l’ultima revisione dei valori catastali è stata fatta oltre 30 anni fa, esistono immobili accatastati come “case popolari” che in realtà sono diventati veri e propri appartamenti di lusso, ovviamente non per merito dei proprietari, ma, semplicemente perché alcune zone si sono rivalutate esteticamente e socialmente, facendo incrementare il valore dell’immobile in modo significativo. Tuttavia, per circa il 45% degli immobili, il valore di mercato degli stessi è molto più basso del valore catastale, quindi i proprietari pagano tasse non eque.

Restiamo estremamente sorpresi che i soggetti politici che più di ogni altro sbandierano la bellezza del “mercato” siano così restii a sostenere una riforma che va proprio nella direzione di usare il “valore di mercato” come metro di valutazione dell’immobile. Quegli stessi partiti che quando sono stati al governo, capeggiati da Silvio Berlusconi, hanno massicciamente aumentato il debito pubblico italiano, gli stessi che propongono l’incostituzionale “flat tax”, cioè una tassazione sui redditi ad aliquota fissa e non progressiva, come invece stabilisce la nostra Costituzione e come sostenevano Luigi Einaudi e i liberali classici. Gli stessi che qualche settimana fa hanno votato per aumentare la quota massima di prelievo del contante e che si oppongono senza tregua a che qualsiasi concessione pubblica sia assegnata per gare.

Sono questi, come dicevamo, gli unici partiti in Italia a lottare per la loro classe sociale, classe che potrebbe sembrare essere quella dei ricchi e possidenti, ma in realtà è una classe sociale trasversale, cioè la classe sociale dei “furbetti”. I “furbetti” sono quelli che passano avanti nelle file, perché hanno fretta e devono andare a “produrre”, sono quelli che sorpassano sulla corsia di emergenza, perché non possono perdere tempo: “il tempo è denaro”, sono quelli che non fanno la ricevuta e ti scontano l’Iva, perché così risparmiamo tutti e due, sono quelli che pagano i collaboratori in contanti, perché così tutti insieme possiamo evadere le tasse… sono, appunto, quelli che vogliono che i propri immobili siano tassati ad un valore molto più basso, ma pretendono per il loro quartiere i lampioni più belli, la pavimentazione in pietra e, possibilmente la cacciata dei molesti mendicanti. Magari sono gli stessi “ultrà liberisti” che godono, da generazioni, di una concessione balneare, pagando un prezzo ridicolo, e si rifiutano di accettare che il valore di quella concessione sia stabilito dal mercato.

La destra italiana è geniale, si è scelta, come riferimento politico, la classe sociale in questo paese maggioritaria: “i furbetti”, e ha avuto anche la capacità di proporre una saggia diversificazione della sua proposta politica: i sovranisti, gli euroscettici, i no vax, i responsabili, i putiniani atlantisti, i populisti, i conservatori rivoluzionari e i rivoluzionari reazionari. Hanno coperto completamente tutte le esigenze ideologiche dell’ampia classe sociale dei “furbetti”. Proprio per questo la destra in Italia vincerà sempre, perché rappresenta la classe sociale maggioritaria. E la sinistra? La sinistra rincorre i furbetti in ogni modo, ma è una sinistra “tonta”, se fosse furba potrebbe essere competitiva.

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