di Ida di Stasio

Oltre alla crisi della salute pubblica, il Covid-19 si è rapidamente trasformato in una vera e propria crisi economica e sociale. La pandemia si è abbattuta su una realtà globale profondamente disuguale, rischiando di peggiorare le disparità preesistenti. Ora più che mai è chiaro il distacco tra ricchi e poveri, tra Nord e Sud del mondo. A pagare il conto di politiche che perpetuano il benessere di pochi sono le popolazioni più vulnerabili. E così, come in tutte le crisi, gli impatti non sono neutrali rispetto al genere, e il Covid-19 non fa eccezione.

Nella mia mente sono ancora impressi i titoli di giornale di un anno fa: a caratteri cubitali la notizia che, in Italia, dopo un anno di pandemia, su 101 mila nuovi disoccupati, 99 mila fossero donne. Il 98%, un dato spaventoso, sintomo di un problema strutturale che, purtroppo, non è relegato solo al nostro paese. Infatti, a livello globale, Oxfam stima che le donne hanno subito gli impatti economici più duri della pandemia, hanno perso complessivamente 800 miliardi di dollari del proprio reddito nel 2020 – un ammontare superiore al Pil combinato di 98 paesi – e stanno affrontando un aumento significativo del lavoro di cura non retribuito, che ancora oggi ricade prevalentemente su di loro. Secondo Oxfam, mentre l’occupazione maschile dà segnali di ripresa, per il 2021 si stimano 13 milioni di donne occupate in meno rispetto al 2019.

Una proiezione a cura di Un Women, Unpd e Pardee Center for International Futures mostra che nel 2022 388 milioni di donne vivranno in estrema povertà. Di queste, 244 milioni provengono dall’Africa Subsahariana. L’enorme impatto della pandemia da Covid-19 rischia di mantenere milioni di donne ai margini della società, di privarle delle loro aspirazioni, dei loro sogni. Si stima che 20 milioni di bambine potrebbero non tornare a scuola entro la fine della pandemia, spesso perché incaricate del lavoro domestico o di care-giving non retribuito. In pochi anni potrebbero aumentare a dismisura fenomeni come le spose bambine (aumento stimato di 13 milioni) e le mutilazioni genitali femminili (due milioni).

I dati parlano chiaro: a causa della disparità di genere perdiamo una ricchezza di 160,2 migliaia di miliardi di dollari in capitale umano. Se questo numero può dirci poco, basta pensare che rappresenta il doppio del Pil globale. Considerando uno scenario di “pieno potenziale” in cui le donne partecipano all’economia in modo identico agli uomini, McKinsey ha concluso che questo aggiungerebbe 28 trilioni di dollari (26%) al Pil globale annuale entro il 2025 rispetto alla situazione attuale.

Si tratta quindi non solo di una questione di giustizia, ma anche di una necessità impellente: in gioco c’è la ripresa del mondo intero. Come possiamo pensare di riprenderci da questa crisi globale, se lasciamo indietro metà della popolazione mondiale? È evidente che la pandemia abbia inflitto un costo altissimo sulla vita e sul futuro delle donne e delle ragazze in tutto il mondo, e questo allontanerà ancora di più l’obiettivo di raggiungere entro il 2030 la parità di genere. Secondo il Word Economic Forum, alle condizioni attuali saranno necessari 135 anni per far sì che le donne possano godere della piena uguaglianza di genere. Prima del 2020, l’annus horribilis, il tempo stimato era di 99 anni: la pandemia ha rallentato questo processo di quasi 40 anni.

Non possiamo stare fermi, in attesa di una rinascita che non accadrà mai se stiamo con le mani in mano, ad assistere alla disgregazione di anni di progresso, alla distruzione di immense speranze. C’è un’estrema urgenza di promuovere politiche mirate a elevare ragazze e donne di tutto il mondo. Ma è importante ricordare che le donne non solo devono beneficiare degli sforzi per ricostruire al meglio le nostre società, devono esserne anche le artefici. Politiche e programmi sociali ed economici per affrontare le conseguenze di questa crisi devono essere inclusivi e trasformativi. Posizionare donne e ragazze al centro della preparazione, della risposta e della ripresa pandemica potrebbe finalmente apportare il vero cambiamento.

Tutti conosciamo i famosi 17 obiettivi dell’Onu per lo sviluppo sostenibile; però non tutti siamo a conoscenza che di 251 indicatori riguardanti questi obiettivi, ben 53 riguardano l’uguaglianza di genere, le donne e le ragazze. Voglio parlare come giovane, come ragazza: chiedo a tutti voi di supportarci e ascoltarci, di rimuovere gli ostacoli dal loro, dal nostro, dal mio cammino. Se qualcuno con del potere decisionale sta leggendo questo post, vorrei chiedere di non sprecare l’enorme opportunità di rilancio che abbiamo ora, e di usarla al meglio. Un verbo inglese che amo particolarmente è “to empower”, che si può tradurre in italiano come “dare forza”, “incoraggiare”, “mettere qualcuno nella condizione di fare”. Dobbiamo fare esattamente questo con le donne di oggi e di domani, dobbiamo ascoltarle, dare loro gli strumenti per agire per cambiare veramente il mondo.

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