In molti abbiamo trascorso la notte fra il 3 il 4 marzo insonni, guardando le fiamme levarsi dalla centrale nucleare ucraina di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa. Con un tweet, l’Agenzia Internazionale per l’Energia atomica esortava le forze militari ad astenersi da ogni violenza nei pressi del sito per evitare una nuova Chernobyl, valutata sei volte più letale di quella che è unanimemente considerata la maggiore catastrofe nucleare civile mai occorsa.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky avvertiva che, se fosse esploso l’impianto intero con i suoi sei reattori nucleari, l’Europa avrebbe dovuto essere evacuata. Solo a tarda notte è giunta l’assicurazione che a essere stato colpito non era un reattore ma un ufficio amministrativo situato nel perimetro esterno della centrale. Per la prima volta nella storia, un impianto nucleare attivo cadeva sotto il controllo militare di uno Stato occupante. Il mattino del giorno dopo, il 4 marzo, più di centocinquanta radio europee, in simultanea, alle 8.45. hanno trasmesso la canzone di John Lennon Give Peace a Chance, divenuta, nel 1969, l’inno pacifista contro la guerra in Vietnam, per chiedere la pace in Ucraina e la continuazione dei negoziati.

In questo scenario cade, il 6 marzo, la Giornata europea dei Giusti, proclamata dal Parlamento europeo esattamente dieci anni fa e istituita per legge in Italia nel 2017, nella volontà condivisa di commemorare non solo ”tutti coloro che hanno salvaguardato la dignità umana durante i periodi totalitari del nazismo e del comunismo”, ma anche “istituzioni e persone che hanno salvato vite umane nel corso di tutti i genocidi e omicidi di massa, come quelli di cui sono stati vittime armeni, bosniaci, cambogiani e ruandesi, e degli altri crimini contro l’umanità commessi nel ventesimo e ventunesimo secolo”.

Appena dieci anni fa, il Parlamento europeo proclamava che “il ricordo del bene è fondamentale nel processo dell’integrazione europea, perché insegna alle generazioni più giovani che chiunque può decidere di aiutare gli altri esseri umani e di difendere la dignità umana”.

Chi sono i Giusti, e cosa vuol dire essere Giusti oggi, mentre in Europa divampa una crisi di violenza impensabile, a un passo dallo spalancare le porte al baratro atomico? I giusti sono, secondo il Talmud, 36 persone che, in ogni generazione, portano su di sé la salvezza del mondo. Lo sono, forse, in questo nostro tempo dilaniato e immemore, i testimoni: della Shoah e del conflitto nucleare – gli Hibakusha, le persone colpite dalle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki, come pure le altre vittime degli esperimenti delle armi atomiche – e i sopravvissuti ai disastri del nucleare civile di Chernobyl e Fukushima, che ci ricordano, nella carne, ciò che stiamo trasformando in set mediatico, in irrealtà, in fiction a puntate dalle quali entrare e uscire a nostro piacimento.

Giusti sono coloro che ci aiutano a ritrovare la realtà essenziale – e la gravitas necessaria ad accoglierla – della distruzione di un Paese e del martirio di un popolo innocente, ma anche di una possibile catastrofe nucleare d’un tratto liberata, anche nel linguaggio, a cominciare dalla facilità nel nominarla.

Giusti sono coloro che danno una possibilità alla pace, che le aprono ogni minuscolo spiraglio, con tutte le forze, senza alimentare l’odio e la contrapposizione. Che sanno che la pace non si costruisce con le armi e nemmeno indossando elmetti, anche ideologici.

Giusti sono coloro che smascherano l’inganno dell’apposizione dell’aggettivo “umanitario” alle guerre, e l’ipocrisia delle retoriche che ammantano di “valori” politiche che uccidono. Ciascuno di noi può essere ridotto a profugo, per questo dopo la seconda guerra mondiale è stata istituita la Convenzione ONU per i rifugiati, eppure l’Europa se ne è via via dimenticata, è diventata un reticolato di fili spinati, campi di prigionia, cani addestrati dalle polizia di frontiera, droni, patti con Stati criminali per il trattenimento di chi fugge, rottura della secolare legge del mare che impone il soccorso dei naufraghi. Questa Europa vede adesso masse di profughi interni passare per gli stessi confini resi trappole feroci per chi veniva da paesi non occidentali.

Si sente ripetere con sempre maggiore insistenza che il pacifismo, così come la guerra, sono arnesi del Novecento – che “la giungla della storia” sia tornata, “e le sue liane vogliono avvolgere il giardino di pace in cui eravamo convinti di abitare”, come ha detto il presidente del Consiglio Draghi nella sua informativa sull’Ucraina del 25 febbraio davanti alle Camere riunite, citando lo storico Robert Kagan, ideologo neocon della “sesta espansione” americana.

Non vivevamo in un giardino di pace, vivevamo, e viviamo, su una distesa nucleare, e su un’immensa coazione del capitalismo internazionale, compreso quello russo, a divorare a dismisura, come tarli in un tavolo, ogni possibilità che gli si apra: fino a ridurre il proprio oggetto – che siamo noi, e tutto il Pianeta – a un enorme cumulo di polvere, probabilmente radioattiva.

I Giusti, oggi, sono quelli che chiedono mitezza, che accolgono i profughi, che soccorrono le vittime, che raccolgono e inviano aiuti e cibo, che curano. Sono quelli, come lo sarebbe stato Gino Strada – che proponiamo come Giusto – che assistono tutti, da qualsiasi parte, sempre guardando agli individui, uomini, donne, vecchi, bambini, ai corpi inermi, ostaggi di logiche mortali.

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