Cito dal regolamento della Corte Costituzionale:

Ai membri […] è fatto divieto, in particolare per la durata del loro mandato:
– di prendere posizione pubblicamente o di prestare consulenza su questioni che siano state o possano essere oggetto di decisione della Corte; […]

E ancora:

Nello svolgimento delle loro funzioni, così come al di fuori di esse, i giudici della Corte Costituzionale si comportano in modo tale da non compromettere la reputazione della Corte, la dignità della funzione e la fiducia nella loro indipendenza, imparzialità, neutralità ed integrità. […] I giudici non esprimono pareri su questioni di diritto costituzionale né previsioni sull’esito di procedimenti pendenti davanti alla Corte o imminenti. […] Nei rapporti con i mezzi di comunicazione, i giudici della Corte Costituzionale si esprimono con modalità ed in formati compatibili con l’incarico, la reputazione della Corte e la dignità della loro funzione. […] Anche dopo il termine del loro mandato i giudici della Corte Costituzionale si attengono a principi di moderazione e discrezione nelle esternazioni e nel comportamento con riferimento all’attività della Corte.

E infine:

I comunicati stampa concernenti sentenze e altre decisioni vengono allestiti dal cancelliere in collaborazione con l’incaricato dei contatti con i media e approvati dal collegio giudicante di regola assieme alla redazione della sentenza.

A questo punto, se qualcuno ha, volente o nolente, creato un’associazione mentale tra i passaggi riportati qui sopra e l’“Amato-show” di giovedì 16 febbraio scorso, nonché la replica di martedì 22 da Floris, sarà saltato sulla sedia per lo spavento. Possibile che il presidente della Corte Costituzionale applichi un’interpretazione così disinvolta del regolamento al quale dovrebbe conformarsi? Niente paura, l’equivoco è presto spiegato: le citazioni qui sopra sono tratte dai regolamenti delle corti costituzionali francese, tedesca e svizzera. Quello della Corte Costituzionale italiana non prevede nulla di simile.

Eppure, perbacco, a leggerli sembrerebbero principi universali, validi in qualsiasi democrazia che adotti il principio di separazione dei poteri. Anche all’ordinamento (giudiziario) italiano il concetto di terzietà e imparzialità del giudice non è certo estraneo. Allora perché mai dovrebbe essere lecito, proprio per i membri del più autorevole organo giusdicente della Repubblica, infrangere questa regola?

Non entro nel merito delle recenti decisioni sull’inammissibilità dei quesiti referendari su eutanasia e legalizzazione della cannabis, anche perché ancora non se ne sa moltissimo. In un paese normale attenderemmo di leggere le sentenze per commentarle. Ma siccome il presidente della Corte Giuliano Amato ha ritenuto opportuno prima indire una conferenza stampa e poi, non pago dei 60 minuti di show offerto ai giornalisti, bissare con l’intervista da Floris, era veramente inevitabile che finisse per “prendere posizione pubblicamente” e “esprimere pareri su questioni di diritto costituzionale”.

E non ha certo cercato di nasconderla, la propria opinione, come dimostrano alcuni passaggi tratti dalla conferenza stampa: “Peccato che il referendum non fosse sull’eutanasia ma fosse sull’omicidio del consenziente.” L’ordinamento italiano (articolo 75 Costituzione) conosce solo il referendum abrogativo. Per poter abrogare qualcosa, bisogna che prima ci sia. L’eutanasia che non c’è non si può abrogare; l’omicidio del consenziente, ovvero l’articolo 579 del Codice Penale che punisce “chi cagiona la morte di un uomo col consenso di lui”, invece sì. O uno giudica che l’abrogazione proposta avrebbe prodotto una norma incostituzionale, oppure uno ammette il referendum. Non è compito della Corte o dei suoi membri esprimere opinioni.

“Leggere o sentire che chi ha preso la decisione che abbiamo preso ieri non sa che cos’è la sofferenza mi ha ferito, ha ferito tutti noi e ci ha ferito ingiustamente. […] Dire che questa Corte fosse mal disposta significa dire una cattiveria che Cappato si poteva risparmiare, sarebbe stato meglio si interrogasse su ciò che stava facendo, dato che nel quesito non si parlava di eutanasia ma di omicidio del consenziente.” La Corte Costituzionale è chiamata a valutare la costituzionalità di una norma. I giudici sono togati proprio perché nell’esercizio delle loro funzioni non dovrebbe avere alcun peso la loro personalità individuale, ma solo il ruolo che ricoprono. Un giudice che sostiene di essere “personalmente ferito” dal commento di una parte in causa è un’aberrazione giuridica e un segnale di profonda confusione sul ruolo che è chiamato a svolgere. Sembra che la valutazione di una questione costituzionale e umana di estrema importanza, come l’eutanasia, sia diventata una bega personale tra Amato e Cappato.

“La decisione è stata presa sulla base di criteri previsti dalla Costituzione. Io sono assai meno politico di lui, dovrebbe saperlo.” Meno politico? Un giudice costituzionale che, in un paese serio, sostenesse così candidamente di essere “assai meno politico” sarebbe almeno travolto da un ciclone di indignazione se non costretto a dimettersi. La politica è (o dovrebbe essere) un tabù assoluto per un giudice nello svolgimento delle proprie funzioni, altrimenti addio imparzialità.

Poi, siccome evidentemente non era ancora soddisfatto del proprio operato, Amato ha colto l’occasione di martedì scorso per annunciare che, a suo avviso “i promotori di un referendum, anche se hanno raccolto centinaia di migliaia di firme, non rappresentano il popolo” (che o è un’ovvietà, o è un giudizio politico sulla bontà dell’iniziativa referendaria) e che “bisogna che l’Italia un po’ si abitui al fatto che una Corte Costituzionale, oltre che a parlare con le sentenze, si adopra anche per spiegarle.” Peccato che nessuno gli abbia fatto notare che è compito della stampa di informare, spiegare e commentare, non dei giudici.

A questo punto uno potrebbe legittimamente cominciare a nutrire qualche dubbio sulla reale imparzialità della Corte o sul rispetto del principio fondamentale di separazione dei poteri. In fondo, se solide democrazie di comprovata qualità come Francia, Germania e Svizzera circondano la libertà di opinione dei giudici di tali e tante cautele, qualche buon motivo ci sarà. Ma forse non c’è neanche bisogno di arrivare a tanto. Basta soffermarsi brevemente sul curriculum – indubbiamente brillante – del presidente per rendersi conto che quando uno è stato “membro del Parlamento per 18 anni, Ministro dell’Interno, due volte Ministro del Tesoro e due volte Presidente del Consiglio” ed è ancora oggi (tra le altre cose) professore universitario e autore di innumerevoli pubblicazioni “su antitrust, libertà individuali, forma di governo, integrazione europea e su vari temi politici” nonché, naturalmente, giudice costituzionale, forse qualche volta faccia un po’ di confusione tra i tanti ruoli che ricopre.

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