Penso di aver letto quasi tutti i libri di Massimo Fini, e mi sento straordinariamente vicino a lui come sentimento e cultura. Oltre a nutrire io un forte rispetto per l’indipendenza che egli ha sempre dimostrato nei confronti del sistema, a differenza della stragrande maggioranza dei giornalisti, che oggi stanno squalificando la professione.

Detto questo, ancora una volta invece non mi ritrovo su un tema a lui caro, e a me anche, ma per motivi esattamente opposti: la natalità in Italia. Non è la prima volta che Fini si avventura in quello che io definirei un campo sdrucciolevole quale è quello del lagnarsi che in Italia non si facciano figli a sufficienza per garantire il perpetuarsi di noi bianchi. Evidenzio questo “bianchi” perché io nelle parole di Fini sento un minimo sottofondo vagamente razzista che emerge dal confronto con quei popoli dell’est o del sud che di figli invece continuano a farne (con l’eccezione del Giappone).

Ma non è su questo che mi distinguo, anzi, meglio, è anche su questo (io mi vergogno di essere italiano!) ma soprattutto sulle motivazioni che Fini adduce per giustificare il calo delle nascite. Le motivazioni sarebbero culturali, sociali ed economiche. In realtà Fini si dimentica di quella sociale, in compenso ne cita due culturali. La prima: la donna avrebbe dimenticato quello che sarebbe il suo compito precipuo, e cioè figliare per perpetuare la specie. La seconda: l’uomo avrebbe sostanzialmente paura della donna, da cui anche l’aumento dell’omosessualità. Motivazione economica: ci sarebbe il timore di non riuscire a garantire un futuro adeguato alla prole.

Non voglio entrare nel merito di queste presunte motivazioni, ma mi limito a evidenziare che ne manca una, sempre di carattere culturale, una che in realtà sono due. La prima: l’uomo non vuole coscientemente perpetuare la specie: non c’è nessuna spinta occulta ma una ben precisa volontà razionale. Perché l’uomo non si piace per nulla, perché non gli piace il mondo che ha costruito intorno a sé. Venendo al livello personale, questa era la motivazione che mi spinse a mettere al mondo un solo figlio. Garantendo da un lato la ricchezza della procreazione, ma dall’altro il contributo alla diminuzione del genere. Da due persone, una. Scelta più drastica hanno fatto enne miei amici, che, senza essere omosessuali, mi dicono “sono contento di non avere figli”.

La seconda. Siamo troppi, ma ognuno di noi ha l’arma per ridimensionarci. Del resto, non si può essere così incoerenti da lagnarsi che siamo troppi (che è terribilmente vero) e poi mettere al mondo almeno due figli. Eccheddiavolo! Da due uno: male che vada si contribuisce alla diminuzione, se non all’auspicabile estinzione. Alan Weisman, autore di quel fondamentale saggio che è “Il mondo senza di noi”, in un’opera successiva “Conto alla rovescia”, partendo dal dato lapalissiano che siamo troppi, afferma: “Supponiamo che il mondo intero adottasse una politica del figlio unico a partire da domani. Entro la fine di questo secolo saremmo 1,6 miliardi, come nel 1900. Sembra non stare né in cielo né in terra ma è vero. Pensateci: se smettessimo completamente di riprodurci, in poco più di un secolo la popolazione umana scenderebbe a zero. Quindi attenersi per poche generazioni a un solo bambino per famiglia ci ridimensionerebbe esponenzialmente”.

Chiarissimo! Altro che bonus bebè, altro che lagnarsi che si figlia poco. Che se poi di italiani fra qualche secolo non ce ne saranno più, e chissenefrega!

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