Studenti e ricercatori egiziani all’estero considerati come una minaccia per la tenuta sociale del Paese nordafricano. La diaspora per motivi di studio attenzionata e, se necessario, punita con detenzioni arbitrarie. Ecco come il regime del Cairo punisce i soggetti considerati pericolosi. Studenti e ricercatori seguiti nei loro percorsi accademici all’estero, in Europa e negli Stati Uniti innanzitutto, sia sui social che attraverso delazioni di altri concittadini residenti nei vari Paesi. Lo hanno fatto per Patrick Zaki e Ahmed Samir Santawi, i due casi più clamorosi, ma un rapporto di EgyptWide, un’organizzazione che si occupa di diritti umani, racconta uno scenario molto più ampio.

Un rapporto duro, quello firmato dalla ong, che getta un sospetto sul presunto ‘nuovo corso’ imboccato dal governo presieduto da Abdel Fattah al-Sisi. La ricerca ha preso in esame gli ultimi tre mesi, da novembre 2021 a gennaio 2022. Il rapporto è basato su fonti documentarie, pubblicazioni e notizie apparse sulla stampa e sui media in genere, ma una ricercatrice ha condotto una serie di interviste mirate. Queste sono state fatte in arabo e hanno coinvolto cinque studenti, studentesse e ricercatori egiziani all’estero, privati della libertà personale a causa del loro percorso accademico. Gli intervistati hanno condiviso resoconti di vicende personali, con l’unica eccezione di Marise George Zaki che ha fornito una testimonianza sulla storia di suo fratello.

Nell’ultimo anno qualche segnale di distensione c’è stato, come emerso dai fatti (diversi i rilasci di attivisti ‘eccellenti’) ed evidenziato in una recente intervista a Ilfattoquotidiano.it di Mohamed Anwar al-Sadat, membro della Commissione per i Diritti Umani del Cairo. C’è però ancora molto da fare per poter considerare l’Egitto un Paese democratico. Il documento sul giro di vite nei confronti di studenti e ricercatori egiziani all’estero lo conferma, così come le parole del ministro dell’immigrazione del Cairo: “Gli studenti egiziani all’estero sono il gruppo di emigranti più pericoloso”, ha dichiarato Nabila Makram nell’agosto del 2021. L’ultimo rinvio del processo a Patrick Zaki al prossimo 6 aprile, quando si pensava che per lui potesse riaprirsi il portellone di un aereo in grado di ricondurlo a Bologna e alla sua università, testimonia che ancora la svolta non c’è stata. Si allunga dunque il suo incubo che in occasione della prossima udienza conterà esattamente 26 mesi dal giorno dell’arresto all’aeroporto del Cairo, il 7 febbraio 2020, al rientro in Egitto dall’Italia per un breve periodo di vacanza tra un semestre e l’altro del programma Erasmus.

In fondo è andata peggio ad Ahmed Samir Santawi che, a differenza di Zaki, una condanna l’ha subita e a 4 anni di reclusione per il solito capo d’imputazione: diffusione di notizie false. Ironia della sorte, proprio ieri è trascorso un anno esatto dall’arresto dal giovane ricercatore egiziano, coetaneo di Zaki, iscritto alla Central European University (Ceu) di Vienna dove stava frequentando un corso di Antropologia. Santawi non è stato fermato in aeroporto, ma messo in cella dopo la notifica a presentarsi presso la stazione di polizia della sua area di residenza, a New Cairo. Mentre Zaki è rimasto per circa 22 mesi in attesa di giudizio, con la detenzione rinnovata periodicamente, Santawi, trascorsi due mesi, è finito davanti al giudice che ha letto la sua condanna. Ora l’unica speranza sta in un provvedimento di grazia del presidente al-Sisi e proprio al-Sadat nella recente intervista al Fatto.it non ha ritenuto la cosa impossibile.

C’è poi il caso di Walid Salem, dottorando della Washington University, arrestato nel 2018 al rientro in Egitto e rilasciato dopo 200 giorni di carcere. Da allora, tuttavia, gli è stata negata la possibilità di tornare negli Stati Uniti per finire la sua tesi a Seattle e per riabbracciare la figlia. Il rapporto di EgyptWide è andato oltre i casi limite prima descritti, analizzando a vasto raggio la preoccupante evoluzione delle pratiche repressive attuate negli ultimi anni nei confronti di cittadine e cittadini egiziani che si sono recati all’estero per motivi di studio o di ricerca: “In molti dei casi che abbiamo analizzato, la magistratura ha giustificato gli arresti e le altre misure di sorveglianza contro gli imputati applicando un’interpretazione arbitraria di due articoli del Codice penale egiziano, accusandoli di diffusione di notizie false. Inoltre, gli studenti e ricercatori intervistati sono stati spesso accusati di uso improprio dei social media o di associazione a delinquere di stampo terroristico” spiegano da EgyptWide.

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