Francesco Barachetti pagò i due commercialisti della Lega per avere rapporti con il mondo del Carroccio. E’ il senso di quanto scritto dai giudici Malatesta-Fiorentini-Clemente nelle 94 pagine di motivazione della sentenza con cui il 23 dicembre ha condannato per peculato e false fatture a 5 anni l’imprenditore. Il caso è quello della Lombardia Film Commission, con al centro la vendita di un capannone di Cormano (Milano) alla fondazione, partecipata da Regione Lombardia, con cui sarebbero stati drenati 800mila euro di fondi pubblici.

Per i giudici – si legge nelle carte della settima penale di Milano – il “flusso anomalo di denaro” tra le società di Barachetti e quelle “del duo Di Rubba-Manzoni“, revisori contabili per il Carroccio in Parlamento, è ingiustificato e “trova una spiegazione ben più credibile nella remunerazione dei due professionisti per la loro attività di intermediazione tra Barachetti e il ‘mondo Lega’, per conto del quale gestivano le spese”. Nelle 94 pagine, in cui è ricostruita la vicenda accertata dall’indagine del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf, coordinata dall’aggiunto Eugenio Fusco e dal pm Stefano Civardi, si legge anche che Barachetti, elettricista di Casnigo (Bergamo) e titolare di società di ristrutturazioni, “ben conosceva” Alberto Di Rubba, anche ex presidente di Lombardia Film Commission, “figura di riferimento per le commesse pubbliche“.

Una conoscenza testimoniata dal fatto che Barachetti “era stato introdotto” da Di Rubba “nel giro degli appalti concessi dai partiti Lega Nord, prima, e Lega per Salvini Premier, poi, oltre che da realtà giuridiche” collegate, come Pontidafin, Radio Padania e “da Lfc stessa (già nel 2016)”. L’imprenditore, si ricorderà, è stato condannato a versare 294mila euro alla Lombardia Film Commission, parte civile con l’avvocato Andrea Puccio, “entro 90 giorni” dal “passaggio in giudicato” del verdetto. E provvisionali di risarcimento da 20mila euro e 50mila euro rispettivamente al Comune di Milano, socio di Lfc e parte civile con l’avvocato Marco Dal Toso, e alla stessa fondazione.

L’indagine milanese si è intrecciata anche, dati i suoi protagonisti, con quella dei pm di Genova sugli ormai famosi 49 milioni di euro della Lega di cui si sono perse le tracce. Dopo una serie di patteggiamenti, tra cui quelli del presunto prestanome Luca Sostegni e del commercialista di fiducia del Carroccio Michele Scillieri, erano stati condannati in abbreviato, rispettivamente a 5 anni e a 4 anni e 4 mesi, Di Rubba e Andrea Manzoni. Riguardo al “flusso anomalo” di soldi tra Barachetti e i contabili, i giudici richiamano anche quanto messo a verbale da Scillieri, il quale aveva “confidato che una percentuale del denaro che lui stesso riceveva da fondazione Lfc, dal partito Lega Nord e dalla società Pontidafin per prestazioni professionali”, alcune “fittizie”, venisse “‘restituita’ al duo Di Rubba-Manzoni” quale “prezzo per aver ottenuto gli incarichi“. Tra il 2015 e il 2019, si legge ancora nella sentenza, due società di Barachetti hanno incassato oltre 2,6 milioni di euro “dalle realtà gravitanti nell’orbita ‘Lega Nord’”. I giudici ricordano pure che Scillieri, sentito nel processo, non aveva voluto “rilevare dettagli sull’effettivo oggetto delle prestazioni da lui fatturate nei confronti della Lega per Salvini premier e Pontidafin”, “intimorito dalle possibili conseguenze” se avesse “chiarito l’origine dei flussi di denaro”, tanto che aveva presentato “denunce per atti ritenuti intimidatori“. A Barachetti, per il peculato ai danni di Lfc, i giudici hanno, però, riconosciuto le attenuanti generiche perché, pur avendo prestato “un contributo determinante” nell’operazione, non ha tratto “alcun guadagno personale” fungendo “unicamente da veicolo per consentire” agli altri di “incamerarne i profitti”.

Le motivazioni della condanna di Barachetti come detto arrivano dopo quelle sulla pena inflitta ai commercialisti della Lega, depositate ad agosto scorso. Per il gup di Milano Guido Salvini, Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni hanno usato “la loro attività di origine politica” per “ottenere arricchimenti personali”, mettendo in pratica un “modello davvero deteriore” Per il giudice – si leggeva nelle oltre 100 pagine del provvedimento – non si è trattato “di un peculato piccolo piccolo, come quello dell’impiegato comunale o del dipendente delle Poste che si appropria di beni”, bensì di un “piano costruito nel tempo“, già dal 2017, “che si è avvalso, per la sua realizzazione, delle competenze di Di Rubba (che all’epoca era presidente di Lfc, ndr) e Manzoni, inseriti ad alto livello in enti pubblici”, e di quelle di Michele Scillieri, commercialista esperto e di successo”, che ha patteggiato 3 anni e 4 mesi lo scorso febbraio. Per Di Rubba e Manzoni, finiti ai domiciliari, di recente la misura cautelare è stata convertita in quella più lieve dell’obbligo di dimora. Insediarsi “in un Ente regionale e sfruttare tale posizione” per “dirottare su se stessi denaro pubblico – ha scritto il gup Salvini – è un pessimo esempio perché aggiunge sfiducia e rifiuto da parte dei cittadini nei confronti delle amministrazioni territoriali e nella attività politica in genere”.

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