L’hanno chiamata la “storia gemella” di quella di Patrick Zaki: entrambi studenti presso università europee, entrambi arrestati (rispettivamente nel febbraio 2020 e nel febbraio 2021) una volta rientrati in Egitto per trascorrere qualche giorno con le famiglie, entrambi indagati per reati inesistenti legati alla loro attività di ricerca, entrambi rinviati a giudizio. Ma se Patrick Zaki è stato posto in libertà provvisoria dopo 22 mesi di carcere e attende la prossima udienza, il 1° febbraio, del processo che lo vede imputato di “diffusione di notizie false”, ad Ahmed Samir Santawy, studente presso l’Università centrale europea di Vienna, è andata persino peggio.

Dopo cinque giorni di sparizione forzata dal momento dell’arresto, il 6 febbraio 2021 è comparso di fronte alla Procura suprema per la sicurezza dello stato ed è stato interrogato su fatti di terrorismo, sulla base di indagini segrete condotte dall’Agenzia per la sicurezza nazionale i cui atti non sono mai stati esaminati dai suoi avvocati. Da allora, per questa inchiesta, è stato posto in detenzione preventiva.

Poi, il 22 maggio, la Procura ha aperto una nuova inchiesta su presunti post pubblicati sui social e ha ordinato il suo rinvio a giudizio con l’accusa di “diffusione di notizie false allo scopo di minacciare lo stato, gli interessi nazionali e l’ordine pubblico e di seminare panico tra la popolazione”. Il 22 giugno Ahmed Samir Santawy è stato condannato a quattro anni di carcere da un tribunale d’emergenza, di quelli che non prevedono appello. È attualmente detenuto nel noto e famigerato carcere di Tora, in isolamento.

C’è una storia che precede quella di Patrick e quella di Ahmed: nel marzo 2018 Walid Salem, dottore di ricerca presso l’Università di Washington, era stato arrestato al rientro in Egitto. Liberato un anno dopo, tuttora non riesce a riavere il passaporto e dunque non è in grado di riprendere gli studi.

Perché fa così paura all’Egitto l’attività accademica all’estero dei suoi ragazzi?

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