Il numero dei pazienti ospitati nelle terapie intensive, e anche gli ingressi giornalieri, diminuiscono per la prima volta dall’arrivo di Omicron, ma per il momento non accenna a rallentare il numero di morti, l’ultima curva a calare. Ma come si spiegano i tanti decessi? Chi muore di Covid oggi, mentre l’Occidente confida di entrare presto nella fase endemica? “Il maggiore fattore di comorbidità è non essere vaccinati”, chiarisce subito Giovanni Di Perri, direttore di Malattie Infettive all’ospedale Amedeo di Savoia di Torino dove buona parte dei ricoverati non è immunizzato. Che Omicron abbia inasprito la selezione tra vaccinati e non lo conferma anche il direttore di Malattie Infettive al San Matteo di Pavia, Raffaele Bruno. Quanto all’elevato numero di decessi, ricorda che nei reparti ancora c’è chi lotta contro la variante Delta, e che per i non vaccinati Omicron è altrettanto pericolosa. Tanto da spingere l’Organizzazione mondiale della Sanità a evidenziare i fatti e distinguerli dai miti che circondano l’ultima evoluzione del virus. Chiarimenti utili perché si sta attraversando in una fase di transizione non sempre decifrabile, e ai quali Silvio Tafuri, ordinario di Igiene all’Università di Bari, aggiunge un avvertimento agli italiani: “Tendiamo a volere tutto e subito, ma passare da un periodo di estrema prudenza a uno di totale libertà è il modo migliore per innescare un effetto rebound”.

Se casi e ospedalizzazioni rallentano, dunque, le vittime crescono ancora rispetto alla settimana precedente: 2.419, quasi il 25% in più rispetto alle 2.066 dei sette giorni antecedenti. Ma se in Italia come in Europa si guarda già oltre la fase emergenziale, quali sono le ragioni di questi numeri? A tracciare l’identikit dei casi gravi o peggio dei morti per Covid sono diversi fattori. A partire dall’ennesima mutazione del virus Sars-Cov2, annunciata il 26 novembre 2021 dal Sudafrica. E che ha reso ancora più severa la selezione tra vaccinati e non rispetto al rischio di essere ricoverati in terapia intensiva o di morire. Perché se da un lato la nuova variante è la meno sensibile ai vaccini a mRNA usati fino ad oggi in Italia, allo stesso tempo rappresenta un rischio ancora elevato quasi esclusivamente per chi vaccinato non lo è.

“Con tre vaccinazioni Omicron non fa quasi niente”, osserva il professor Di Perri. “Nella tac toracica con Omicron non vediamo nulla nei polmoni di chi ha fatto anche il booster”, spiega raccontando la situazione nel suo reparto, dove il 70% dei ricoverati ha invece ancora a che fare con la più virulenta variante Delta. “A parte soggetti molto anziani o con precedenti patologie che li rendono più fragili, la maggior parte delle persone in reparto non è vaccinata e quindi ad alto rischio di sviluppare la patologia grave anche con Omicron”. E per spiegarsi azzarda il paragone tra l’assenza del vaccino e una patologia: “Elementi di vulnerabilità ne esistono diversi, come le malattie cardiovascolari o come l’obesità che rende particolarmente fragili di fronte al Covid, ma di tutti questi la mancanza del vaccino è sicuramente il più pericoloso”.

Secondo l’Istituto Superiore di Sanità i ricoveri in terapia intensiva riguardano per i due terzi i soggetti non immunizzati, che sono ancora il 14% della popolazione over 5, quella vaccinabile. Per loro, spiega l’Oms in un recente vademecum, Omicron rappresenta un rischio e bisogna sfatare il mito che non sia più pericolosa di banale raffreddore. Al San Matteo di Pavia i ricoveri alla Clinica di Malattie Infettive sono per il 63% di pazienti non vaccinati. Sono passati quasi due anni da quando il professor Bruno si trovò ad occuparsi del 38enne di Codogno Mattia Maestri, primo italiano al quale venne diagnosticato la positività al Covid. “Nel frattempo il virus è cambiato e questo cambiamento lo ha pagato in termini di patogenicità, che lo vede oggi più contagioso ma decisamente meno virulento”, spiega l’infettivologo. Ancora una volta, il primo fattore a incidere sulla possibilità di malattia grave o di morte è la vaccinazione.

I dati ufficiali dell’Iss dicono che il rischio relativo per chi non è vaccinato di essere ricoverato in terapia intensiva è 39 volte più alto rispetto ai vaccinati con terza dose. Due terzi dei ricoveri, dunque. E gli altri? “Sono persone con la doppia dose fatta da più di 4 o 5 mesi, ma soprattutto individui over 70 e con patologie croniche, pazienti immunodepressi o trapiantati”, risponde Bruno. Come sopra, c’è poi Delta, che non ha ancora chiuso la sua partita e sferra il colpo di coda proprio negli ospedali, nonostante in regioni come la Lombardia la variante Omicron abbia ormai raggiunto una prevalenza del 90% e secondo l’ultima flash-survey è oltre l’80 per cento sul territorio nazionale. E se è ormai chiaro che per le ospedalizzazioni dei non vaccinati rappresenta un rischio pari a quello di Delta, “quasi nulla sappiamo ancora del long covid legato a questa nuova variante”, avverte il primario di Pavia.

A rischio sono poi i pazienti affetti da patologie per le quali il Covid può fare da detonatore di un aggravamento. “Pensiamo a un nefropatico in dialisi, che venendo in contatto col virus si trova ad affrontare due condizioni che si sovrappongono”, spiega l’epidemiologo Silvio Tafuri, docente e responsabile della control room del Policlinico di Bari. “Non dobbiamo dimenticare che questo periodo dell’anno è da sempre legato a un aumento della mortalità, dovuta fino agli anni precedenti all’influenza o a complicazioni respiratorie, mentre oggi siamo di fronte a una variante come Omicron che moltiplica di molto la circolazione del virus e quindi i rischi per determinate categorie di soggetti fragili”, spiega.

Tra coloro che lottano per la propria vita c’è anche chi è affetto da patologie che prevedono terapie farmacologiche che riducono di molto l’efficacia del vaccino, che per tutti gli altri, invece, riduce fino al 91% la possibilità di finire in terapia intensiva. E da ultimo c’è una considerazione sui numeri che vale la pena ripetere: “La minore virulenza di Omicron va considerata nella sua maggiore contagiosità, che ad oggi restituisce ancora una base di contagiati troppo ampia per non vederne le conseguenze anche all’interno degli ospedali e, soprattutto per i non vaccinati, nelle terapie intensive”, spiega Tafuri. Ora che il picco della quarta ondata sembra essere stato raggiunto, verosimilmente ci vorranno un paio di settimane per osservare un’inversione anche sul fronte dei decessi. “Nel giro di tre settimane inizieremo a vedere gli ospedali svuotarsi”, sostiene il primario di Torino, Di Perri. Ma saremo ancora in una fase di transizione. “Spero che gli italiani inizino a fidarsi un po’ di più delle istituzioni e della scienza, anche perché in fasi di transizione come quella che ci attende non tutte le indicazioni saranno immediatamente intelligibili, non di tutto si comprenderà l’utilità immediata. E se non ci impegneremo il virus riprenderà a correre”, conclude Tafuri.

Articolo Precedente

Green pass, tabaccai pronti allo sciopero per protestare contro l’obbligo di controllo

next
Articolo Successivo

Coronavirus, 77.696 contagi e altri 352 morti. Da inizio pandemia 10 milioni di casi accertati

next