di Roberto Iannuzzi *

Nel continuo e pervasivo bombardamento mediatico sul Covid-19, a stento ci si rende conto che i governi dell’Occidente stanno irresponsabilmente conducendo i loro cittadini in rotta di collisione con la Russia. Washington e diversi paesi europei accusano Mosca di essere sul punto di invadere l’Ucraina. Dal canto suo, il presidente russo Vladimir Putin ha esplicitamente ammonito che, se Stati Uniti e Nato non forniranno a Mosca chiare garanzie di sicurezza, la risposta russa non sarà più guidata dalla diplomazia, ma esclusivamente da considerazioni di natura “tecnico-militare”.

Il Cremlino chiede la fine dell’allargamento a Est della Nato, la cessazione di ogni ulteriore installazione di basi e sistemi d’arma occidentali nei paesi dell’ex Unione Sovietica, l’interruzione dell’assistenza militare all’Ucraina e la messa al bando dei missili a medio raggio in Europa. Intanto il vecchio continente deve fronteggiare una crisi energetica senza precedenti, in gran parte autoinflitta, che Mosca potrebbe alleviare inaugurando il gasdotto Nord Stream 2. Ma quest’ultimo è malvisto da Washington, e Berlino potrebbe rimettere l’affare in discussione pur di accontentare l’alleato americano.

Come si è giunti a questo punto? E chi è l’aggressore? Va ricordato che nel 2014 il corrotto ma democraticamente eletto presidente ucraino Viktor Yanukovich venne rovesciato in un golpe di fatto che violava i precedenti accordi per la creazione di un governo di unità nazionale, raggiunti con il consenso di Germania, Francia, Polonia e Russia. Tale golpe fu sostenuto da Washington. I paesi occidentali successivamente appoggiarono le operazioni militari del nuovo governo contro la popolazione della parte orientale del paese, contraria al rovesciamento di Yanukovich.

I governi succedutisi a Kiev, fortemente dipendenti dagli Usa, si sono dimostrati più autoritari e corrotti di quello del deposto presidente e hanno perso rapidamente legittimità agli occhi della popolazione. Malgrado ciò, Washington, Londra e altri paesi europei hanno continuato a fornire armi all’esercito e alla marina ucraini sia per portare avanti la repressione contro i ribelli nella regione del Donbass, sia in chiave antirussa. Trasformare l’Ucraina in un fronte antirusso ha obbligato Mosca a rispondere, accrescendo le possibilità di una guerra nel cuore dell’Europa.

Quella ucraina è tuttavia solo l’ultima tappa di una crisi fra Russia e Occidente le cui origini risalgono alla decisione della Nato di continuare a espandersi verso Est dopo la fine della guerra fredda, a partire dal 1999. Tale decisione, contravvenendo alle rassicurazioni date da Washington ai leader sovietici nel 1990 in occasione dei negoziati sulla riunificazione tedesca, tradiva la natura non esclusivamente difensiva dell’Alleanza Atlantica. L’espansione della Nato è andata a ledere il principio della “sicurezza indivisibile” in base al quale il contraente di un accordo non può rafforzare la propria sicurezza a spese di quella della controparte. Si tratta di un elemento cardine alla base di ogni intesa di sicurezza paneuropea a partire dagli accordi di Helsinki del 1975.

I successivi tentativi russi di contenere l’espansionismo della Nato sono stati percepiti come una “aggressione russa” dai paesi confinanti, e dipinti allo stesso modo in Occidente. Ma, mentre la propaganda occidentale descrive il conflitto in Ucraina come un tentativo di Mosca di dettare il proprio volere a un paese limitrofo, è alla Nato che la Russia ha chiesto di rinunciare a un’adesione di Kiev all’Alleanza – una richiesta legittima in base al principio di “sicurezza indivisibile”.

In altre parole, in Occidente si descrive strumentalmente il confronto fra Nato e Russia come uno scontro fra Russia e Ucraina. Quello di cui non si tiene conto, né a Washington né negli ambienti politici europei, è che mettere con le spalle al muro una superpotenza nucleare non è mai una buona idea. “Non abbiamo più spazio per arretrare”, ha recentemente dichiarato Putin, osservando che la Nato potrebbe schierare in Ucraina missili che raggiungerebbero Mosca in appena 4-5 minuti.

Varrebbe la pena ricordare, però, che la Russia non è la Libia o l’Iraq, e nemmeno l’Iran. Mosca ha un’economia di dimensioni relativamente contenute ma con punte di eccellenza, soprattutto in ambito militare dove è spesso in grado di dispiegare soluzioni più avanzate anche di Washington. Difficilmente la Russia invaderà l’Ucraina. Ma se ciò accadesse, le sue forze armate avrebbero rapidamente la meglio, perfino se in aiuto di Kiev dovesse intervenire la Nato. Il risultato tuttavia sarebbe catastrofico, soprattutto per noi europei: una definitiva rottura fra Russia e Occidente, una nuova ondata di profughi e un probabile inasprimento della crisi energetica europea.

Mosca, che Washington ha già scioccamente spinto nelle braccia di Pechino, andrebbe a costituire un blocco antioccidentale con la Cina. Biden potrà forse baloccarsi con l’idea di combattere una nuova guerra fredda “monstre”, ma per l’Europa – frammentata e circondata da conflitti – dipendere da un’America velleitaria e dilaniata da una sempre più grave crisi politica e sociale non è una prospettiva allettante. Probabilmente, tuttavia, è proprio questo l’obiettivo americano.

* Autore del libro “Se Washington perde il controllo. Crisi dell’unipolarismo americano in Medio Oriente e nel mondo” (2017).
Twitter: @riannuzziGPC
Medium: @roberto.iannuzzi

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