Oggi avrebbe compiuto 90 anni Umberto Eco, uno degli scrittori italiani più letti e stimati al mondo, tra gli ineludibili punti di riferimento dell’intellighenzia di sinistra. Saggista, accademico, semiologo, massmediologo, romanziere, traduttore, medievista: parliamo di una delle menti più prolifiche e proteiformi del panorama culturale europeo.

Nutro ammirazione per la sterminata e proverbiale erudizione dell’intellettuale di Alessandria (celebre il video in cui cammina per un minuto e mezzo lungo la sua vastissima biblioteca) e gli riconosco l’importante ruolo di pioniere in numerose discipline: dalla semiotica alla critica fumettistica, all’esplorazione della letteratura americana.

Uno dei tratti salienti della sua personalità era, senza dubbio, la brillante e affilata arguzia; splendida, ad esempio, la risposta che fornì a Paolo Poli in una lezione televisiva sul conformismo durante la trasmissione Baubau nel 1970 (lascio a voi le ovvie considerazioni sulla decadenza del Paese): Eco illustrava il conformismo come “l’osservanza dei modelli dettati dalla società”, il sempre salace attore fiorentino prese ad esempio il fatto che il professore indossasse la cravatta per la sua apparizione come ospite televisivo, al che Eco rispose sottolineando prontamente che anche il maglione a collo alto scuro indossato dal suo intervistatore corrispondesse a una sorta di divisa conformista da attore.

Molti sono i doni preziosi della sua eredità: il battesimo della disciplina semiotica (e della critica fumettistica) in Italia, la divulgazione culturale di massa sulla Rai, l’abbattimento delle vetuste divisioni tra cultura “alta” e “bassa”, l’allarme tristemente attuale sulle possibilità di costante ritorno del pensiero fascista sotto diverse spoglie, l’analisi profetica della forma mentis complottista, lo studio dei mass media e della loro influenza sociale, le vertiginose teorie della narrazione, migliaia e migliaia di pagine in articoli, saggi, conferenze, traboccanti di erudizione, umorismo, aneddoti memorabili, guizzi mordaci e puntuali osservazioni sull’attualità.

Eco è stato, per decenni, un modello di analisi intellettuale, di decostruzione dotta e irriverente delle categorie imposte dalla cultura dominante. Proprio per questo, forse il miglior modo per omaggiare è applicare anche alla sua visione quello spirito critico che ha sempre invitato a sviluppare, anche nei confronti dei classici più rispettati.

Non si possono ignorare, ad esempio, i limiti della restituzione storica nel suo romanzo più celebre, e anche per molti aspetti più facile, ovvero Il Nome della Rosa (straordinario successo planetario, con oltre 60 milioni di copie vendute), in cui la rappresentazione del Medioevo è senza dubbio caricaturale e ideologicamente orientata. Ma anche per ciò che riguarda i suoi saggi più approfonditi, saremmo dei cattivi allievi di Eco se accettassimo acriticamente le sue considerazioni.

Ad esempio, Eco è in parte responsabile di uno dei mali storici della sinistra nostrana, avendo sancito un’equazione discutibile, ovvero identificare il fondamento del pensiero fascista con il culto della tradizione e con una visione ispirata al sincretismo dell’esperienza religiosa e spirituale. Ora, è indubbio che questo ambito di studi ha sempre esercitato una fascinazione anche un po’ perversa nell’estrema destra, ma la conseguenza logica di tale affermazione ha condotto a pregiudizi difficili da sradicare: per decenni (ora per fortuna ci sono molti esempi virtuosi in senso contrario) gli intellettuali di sinistra hanno regalato lo studio delle tradizioni spirituali, dei simboli e degli archetipi alle menti più incendiarie del neofascismo.

Il paradosso è che Eco per primo era in realtà un “alchimista” culturale, profondo conoscitore di visioni esoteriche: se, nei suoi romanzi, ha sempre operato una beffarda parodia di tali ambiti di ricerca, è anche vero che, da sommo affabulatore, non ha potuto nascondere il suo interesse per determinate tematiche e discipline. Al contrario, il fatto di aver posto, per motivi ideologici, sullo “scaffale dei cretini” studiosi come René Guénon e Elémire Zolla, dalle posizioni controverse ma sicuramente non dei cretini, non fa propriamente onore al Nostro. Preferirò sempre tendenza apodittica e le etimologie indimostrabili di Zolla, o di Carmelo Bene, ai dogmi inconsapevoli e agli odi freddi di chi delira su Dante e Florenskij senza poterne comprendere minimamente la grandezza (parlando di goffi epigoni di Eco…).

Insomma, nel ricordare uno dei più influenti intellettuali del Novecento italiano, ribadisco la necessità di non idolatrarlo, fedele a una delle sue più celebri sentenze: “La saggezza non sta nel distruggere gli idoli, sta nel non crearne mai”.

Articolo Precedente

Dopo Tolkien, il fantasy non è più stato lo stesso

next
Articolo Successivo

Giorgio Caproni, il poeta che voleva essere “prima di tutto un uomo”

next