Trovare un mucchio di soldi per caso, o almeno una somma che per un ragazzino di una decina d’anni rappresenta un mucchio di soldi, correre al negozio di abbigliamento sportivo per comprare l’oggetto del desiderio, la divisa della squadra di calcio preferita, e scoprire che c’è solo quella dei rivali… ma comprarla lo stesso. Ecco, un episodio rocambolesco, sì, ma che descrive perfettamente la vita di Antonio Pacheco. No, non quello che ha giocato (una partita) nell’Inter. L’altro, quello che all’Inter ha fatto un bellissimo gol esattamente 25 anni fa, con la maglia della Reggiana. Bellissimo e rocambolesco pure quello a dir la verità: la Reggiana è più che ultima in classifica e prima della sosta natalizia ha solo 5 punti in campionato, con zero vittorie.

Una squadra considerata il primo e sgangherato esempio degli effetti della sentenza Bosman: l’anno prima un giovanissimo Carletto Ancelotti l’aveva portata di nuovo in Serie A, ma con il mister emiliano approdato al Parma di Tanzi la società punta su Mircea Lucescu. Sul nuovo tecnico rumeno e su molti calciatori stranieri, per la verità non tutti irresistibili: Micheal Hatz, Dietmar Beiersdorfer, Adolfo Valencia, Franz Carr. E Antonio Pacheco: quel sinistro al volo che porta a un vantaggio insperato contro l’Inter è bellissimo, le sue fughe sulla sinistra lo sono altrettanto. L’Inter però pareggerà con Djorkaeff salvando (almeno) la faccia e quel gol sarà l’unico di Pacheco in Serie A.

E dire che era arrivato con l’obiettivo dichiarato di “dimostrare di essere ancora un grande giocatore”, cosa che anche prima di Reggio Emilia gli era riuscita solo a sprazzi per la verità. A partire dal completino comprato dopo aver trovato dei soldi: voleva quello dello Sporting Lisbona, squadra di cui era tifosissimo, trovò quello dei rivali del Benfica. Mingherlino, buon sinistro e buon dribbling, nato in Algarve, a Portimao: da ragazzino scappa di casa perché lo vogliono nella vicina Torralta, acerrima rivale della Portimonense, squadra del suo paese.

E al Benfica poi ci arriverà davvero: nella squadra di Mozer e Rui Aguas riesce a ritagliarsi il suo spazio, vincendo un campionato, arrivando due volte in finale di Coppa Campioni, segnando in Coppa Uefa quella che per decenni è rimasta l’unica tripletta europea di un giocatore del Benfica, contro gli sloveni dell’Izola nel 1992. Nel 2019 quel record sarebbe stato eguagliato da Joao Felix contro l’Eintracht Francoforte.

Ma è discontinuo Pacheco: Sven Goran Eriksson arriva a filmarlo in allenamento di nascosto, consegnandogli il vhs di 35 minuti che lo ritraeva a camminare e mai a correre, accusandolo di scarso professionismo. I rapporti si deterioreranno fino alla clamorosa decisione di finire dall’altra parte di Lisbona, allo Sporting, rimettendoci un’automobile, distrutta dai tifosi sotto casa per il “tradimento consumato”. Ma non andrà bene neppure in biancoverde: un pessimo rapporto con l’allenatore Queiroz lo porterà a non giocare praticamente mai, in un gioco di dispetti reciproci.

Finirà al Belenenses, dove però oltre a giocare poco per noie fisiche ormai costanti ci rimetterà anche i soldi per la pessima situazione finanziaria della società. E dopo un periodo a girovagare tra Portogallo e Inghilterra, senza però trovare squadra, arriverà (e anche lui ancora oggi non riesce a spiegarsi come) la chiamata della Reggiana: poche partite, 14, qualche buono sprazzo ma in una stagione disastrosa, con l’unico acuto di quel gol all’Inter. Poi il ritorno in Portogallo e la fine della carriera: l’acquisto di un peschereccio (che andrà male) e di un bar-ristorante che ha ancora oggi e dove ricorderà agli avventori quel bel gol d 25 anni fa.

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