Ho visto solo in questi giorni “Hammamet”, il film di Gianni Amelio sugli ultimi mesi della vita di Craxi nella sua residenza tunisina, basato in buona parte sulla splendida interpretazione di Pierfrancesco Favino, che con la sua capacità mimetica offre un vivido ricordo del leader socialista. E’ senz’altro un bel film, non strappalacrime eppure emozionante perché rende dolorosamente il dramma di uno dei maggiori leader politici italiani.

Hammamet è centrato più sul dramma finale del leader socialista che sul suo operato, perché non ha voluto (o forse non ha osato) raccontare la vicenda di “Mani Pulite, che portò fra l’altro ad una serie di suicidi (da Sergio Moroni a Gabriele Cagliari e molti altri).

Il film, a mio avviso, avrebbe dovuto almeno accennare agli aspetti positivi dell’operato di Craxi, fra cui “la rinascita” del PSI dopo gli anni grigi delle precedenti segreterie. E magari ricordare due delle vicende più clamorose del leader socialista: il referendum sulla scala mobile, che finì con la vittoria di Craxi ma lo rese inviso al PCI e ai sindacati, in particolare alla CGIL; e la vicenda di Sigonella, in cui per la prima volta nella storia dei rapporti con gli Stati Uniti l’Italia non seguì la consueta via della subordinazione al volere degli Usa, ma si spinse fino a mandare i Carabinieri per impedire agli americani il prelievo forzato del terrorista Abu Abbas (ero nella tribuna stampa della Camera quando Craxi riferì su Sigonella e ricordo il mio amico Giampaolo Pansa che seguiva il discorso di Craxi con il suo inseparabile binocolo e non riusciva – pur essendo per lo più critico sul leader socialista – a nascondere la sua emozione). Ma da quel giorno Craxi ebbe come nemici – oltre al PCI e ai sindacati – anche gli Stati Uniti. Cosa che certo non gli giovò quando si trovò come principale imputato – dal punto di vista politico – della vicenda di “Mani Pulite”. Come dire, aveva contribuito, con il suo coraggio, a scavarsi la fossa.

Ho conosciuto personalmente Craxi nel 1987 al congresso del PSI a Rimini (quello in cui Martelli lanciò lo slogan “I meriti e i bisogni”). E gli ho ricordato di aver conosciuto suo padre Vittorio, che era vice prefetto (di carriera) a Milano quando nel gennaio del 1946 mio padre, Ettore Troilo, comandante della “Brigata Maiella”, fu nominato “prefetto politico” al posto di Riccardo Lombardi, che entrava a far parte del primo governo De Gasperi come ministro dei Trasporti. Divenuto prefetto di Como, Vittorio Craxi ci invitò a passare la Pasqua da lui, ma fu – per mio padre – una breve e drammatica vacanza, perché poche ore dopo l’arrivo a Como giunse la notizia della rivolta del carcere di San Vittore e mio padre dovette tornare immediatamente a Milano, dove riuscì a domare la rivolta giungendo ad offrirsi come ostaggio al posto dei secondini sequestrati dai capi degli insorti.

A venti anni dalla morte di “Bettino”, mi chiedo se i socialisti italiani non dovrebbero in qualche modo avviare un pacato processo di revisione sulla figura di Craxi, le sue colpe ma anche i suoi meriti. E magari evidenziare la disparità di trattamento fra Craxi e tanti protagonisti della vita politica di allora, in particolare i democristiani (Forlani – salvo non abbia cambiato casa a mia insaputa – vive nella sua villa all’Eur, mentre De Mita si affaccia dal suo terrazzo sugli uffici del Messaggero).

Ricordando anche quanto fosse vera l’affermazione di Craxi sul fatto che tutti i partiti fruivano di finanziamenti dalle grandi imprese pubbliche e private (lo spiegò dettagliatamente ai giudici il braccio destro di Bernabei, incarcerato in tre diverse città da Di Pietro fino a portarlo sull’orlo del suicidio). Ma alla fine, in sostanza, a pagare furono solo i socialisti. Anche per l’accanimento di alcuni giudici – in particolare Antonio Di Pietro.

E a proposito di accanimento, andrebbe ricordato il comportamento feroce degli stessi giudici quando Craxi, dopo diversi processi di amputazione della gamba dovuti al diabete, chiese di poter tornare a Milano e di essere ricoverato non ricordo in quale clinica per morire nella sua città. E i giudici risposero che avrebbe potuto essere ricoverato solo nella infermeria del carcere. Neanche i giudizi della Inquisizione!

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