È successo. Con le 5 triple messe a segno nella notte nella vittoria dei suoi Golden State Warriors sui New York Knicks, Wardell Stephen Curry è diventato il miglior realizzatore da tre punti della storia Nba con 2977 canestri dall’arco. Una cifra monstre e destinata ad aggiornarsi ancora per un record tanto chiacchierato da non fare quasi più notizia. Ce lo si aspettava, ormai. Come la morte, le tasse e quel paio di chili presi a Natale. Il guaio, però, è che si andati pure vicini a banalizzare qualcosa che invece è tutto fuorché normale. Perché i 2973 canestri da tre punti del record precedente erano un’enormità, ma soprattutto perché a metterli a segno era stato Ray Allen, praticamente la Bibbia del tiro dall’arco. Un giocatore clamoroso che nelle Finals 2013 regalò (di fatto) il titolo ai Miami Heat di LeBron James proprio con una tripla insensata in Gara 6. Ed è allora quasi ironico che a infrangere l’assurdo record di un tiratore perfetto sia stato proprio Curry, il cui tiro è invece tutto fuorché da manuale.

Il suo movimento è letale e ha una fluidità allucinante, ma in teoria (solo in teoria) è pure sbagliato. Sin dal minibasket, infatti, si insegna che il tiro si fa in sospensione, che più parte in alto meglio è e che i piedi devono guardare al canestro. Curry invece fa tutto il contrario: i piedi sono disallineati, il braccio tende verso l’esterno dopo il rilascio e il tiro parte molto basso. Un vizio antico, preso da piccino quando mancava della forza per una corretta esecuzione, ma che ha finito per tramutarsi in pregio, permettendogli di lasciar andare il pallone in soli 4 decimi di secondo e di imprimere alla sfera una parabola altissima.

Infine c’è la questione “tiro in sospensione”: di norma, quando si salta per tirare, la palla dovrebbe essere scoccata mentre il movimento termina la sua fase ascendente e si comincia a ricadere. Curry invece lo fa quando sta ancora salendo. Un gesto anomalo, che toglie al difensore ogni riferimento, rendendo il movimento impossibile da leggere ma tendenzialmente pure più impreciso. Non se a farlo è lui, però: con lui ogni effetto collaterale svanisce e si sente solo il benefico ciuff della retina. Un giocatore eccezionale per un record eccezionale, insomma. Impreziosito dalla follia di averlo infranto in poco più della metà delle gare impiegate da Ray Allen per costruirlo. Un dato che fa strabuzzare gli occhi, ma che presta pure il fianco a chi si affanna a limitare la grandezza di Curry sottolineando come la vocazione del basket contemporaneo al tiro dalla distanza abbia drogato le sue statistiche. Peccato, però, che sia stato proprio lui a creare il basket contemporaneo.

Se è vero che dal 1979 – anno in cui fu introdotto in Nba – il tiro da 3 ha guadagnato sempre più rilevanza fino a diventare negli ultimi anni quasi un prerequisito, è infatti pure vero che prima di Curry nessuna difesa si sarebbe mai sognata di vedere una minaccia in un giocatore che palleggia marcato a 10 metri dal canestro. Con il giocatore dei Warriors, invece, appena supera la metà campo scatta l’allarme, perché da lì i suoi numeri sono paragonabili a quelli che un buon tiratore registra da 6-7 metri. Con lui il campo si amplia a dismisura, i difensori sono costretti a correre come forsennati e presto a sopraffarli è la frustrazione, perché anche un palla all’apparenza buttata per aria diventa un buon tiro. Stephen Curry è un bug, un errore di sistema che oggi rappresenta molto più del miglior tiratore di tutti i tempi: è un giocatore quasi privo di difetti.

Curry è un rito pagano. La sua sola presenza infiamma i compagni, terrorizza gli avversari e condiziona la partita. E il pubblico si accalca per assistere alla sua routine pre-gara dando vita a scene simili a quelle viste di recente nella miniserie The Beatles: Get Back sull’ultima esibizione dei Fab Four o nel racconto dei Chicago Bulls di Michael Jordan fatto da The Last Dance. Tanto che non sembra poi troppo blasfemo sussurrare che l’impatto che Curry ha avuto e sta avendo sul gioco è per certi versi molto simile a quello che ebbe MJ. E allora non resta che domandarsi quali orizzonti abbia di fronte un simile fenomeno, che resta un classe 1988 e che potrebbe dunque avere ancora a disposizione anche cinque o più anni di carriera. Quanto in là potrebbe spostare il record di tiri da tre appena firmato un’iradiddio capace di flirtare con le 400 triple a stagione? (Nota a margine: prima di lui nessuno aveva superato le 300).

Stando agli indizi potremmo essere di fronte a un uragano capace di scolpire uno di quei record Nba semi-imbattibili, come i 15.806 assist o le 3.265 palle rubate di John Stockton o i 100 punti in una sola partita di Wilt Chamberlain. Non male per un giocatore su cui a inizio carriera c’era più di un dubbio e che sta finendo invece per far pensare a qualcuno che sia giunta l’ora di inserire delle nuove regole per provare a limitarlo. I precedenti del resto non mancano: l’arrivo al college di Kareem Abdul Jabbar fece eliminare la schiacciata dalla Ncaa, mentre proprio per arginare il dominio di Chamberlain la Nba mise mano più volte al proprio regolamento. Chissà.

Quel che è certo è che chi segue il basket in questa epoca è testimone di una leggenda che sta ancora scrivendo le pagine migliori della sua storia e di cui non possiamo far altro che godere. Strofinandosi le mani e gli occhi in attesa dei prossimi Play Off, dove Curry sarà sicuro protagonista. Giacché insieme a lui anche Golden State è tornata la macchina perfetta di qualche anno fa e tra le dita di Steph c’è ancora spazio per molti altri tiri. E, magari, pure per un altro anello.

Twitter: Ocram_Palomo

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