L’appuntamento nella sede di Confindustria Ancona lo scorso venerdì mattina tra vertici della Caterpillar di Jesi e delegati dell’Rsu doveva essere un incontro di routine, come tanti altri ce n’erano stati in passato. All’ordine del giorno, in soldoni, i risultati dei sei mesi precedenti a livello produttivo e la pianificazione dei sei mesi a venire, con l’imminente trasformazione di 15-20 contratti interinali a tempo indeterminato. Nulla lasciava presagire il dramma che avrebbe travolto 270 famiglie, una città intera e la storia industriale del territorio. Anche perché la multinazionale statunitense ha ricavi e profitti in crescita (1,2 miliardi di euro solo nel 3o trimestre 2021) e da 27 anni i dividendi pagati ai soci sono continuamente aumentati.

Tra i delegati arrivati ad Ancona c’era anche Donato Acampora, 52 anni compiuti proprio venerdì: “Già pregustavo la serata con la famiglia e con gli amici, le candeline sulla torta da spegnere, anche se era un normale giorno di lavoro e, nello specifico, di impegni sindacali. In mattinata sono andato al lavoro in fabbrica e mi aveva incuriosito il fatto che l’incontro in Confindustria, di solito fissato verso le 9, era stato posticipato alle 11. La curiosità si è trasformata in allarme quando ad Ancona abbiamo trovato solo il nuovo direttore di Caterpillar Jesi (Jean Mathieu Chatain, nominato a fine novembre, aveva preso il posto dell’ingegner Roberto Lorenzoni, ndr): al posto del capo del personale, del direttore di produzione e del capo della logistica c’erano un avvocato e i suoi bodyguards. Chatain ha iniziato a dire che l’azienda avrebbe chiuso entro pochi mesi perché i cilindri prodotti a Jesi sarebbero costati il 20% in meno se realizzati in un altro stabilimento Caterpillar e il 25% in meno se fatti all’esterno. Una botta durissima, mi ha devastato. Lo ammetto, ho pianto, non riuscivo a parlare, a capire cosa stesse accadendo. Sono tornato a Jesi, in fabbrica, col cuore in gola per dare la notizia ai colleghi”.

La multinazionale statunitense delle macchine movimento terra ha recapitato ad Acampora il vero regalo di compleanno dopo quasi 27 anni di lavoro dentro quelle mura: “Nel primo pomeriggio è arrivata la Pec con l’avviso dell’apertura della procedura di licenziamento collettivo – ricorda Acampora, da poco eletto segretario del Pd di Monte San Vito, un piccolo comune della zona. Più tardi, quando ho visto mia moglie, ci siamo abbracciati e detto che sarà dura, ma insieme ne usciremo. Lei lavora in un Caf, abbiamo una persona disabile da seguire in famiglia, ci sarà da stringere i denti, sperando di poter salvare il lavoro. In serata c’è stata la festa, ma ho faticato a sorridere”.

L’area industriale dell’anconetano, scossa da una serie di crisi, passa dal buon esito della vertenza Elica – esuberi ridotti e nessun licenziamento – al baratro annunciato della Caterpillar. Tutto in meno di 24 ore. I tempi tecnici parlano di 75 giorni per la procedura di chiusura e poi di altri 120 giorno in cui verranno attivate le eventuali misure-paracadute, dalla cassa integrazione alla mobilità. Fino alla fine di febbraio la Caterpillar continuerà la produzione, una prerogativa che non è mai venuta meno: “L’azienda è così in salute che si lavora su tre turni e con gli straordinari – spiega Emanuele Belegni, 44 anni di cui 23 trascorsi dentro la fabbrica di via Roncaglia . Una fabbrica in crisi non è attiva pure la notte. Per Caterpillar ogni minuto è oro. “Venerdì mattina sono uscito di casa come un qualsiasi altro giorno di lavoro, la sera poi sono tornato a casa e ho guardato negli occhi mia figlia di 22 anni che frequenta l’Accademia del Fumetto e sogna un futuro in quel campo. A cena era come se ci fosse un morto in casa. Non è stato facile (qui Belegni si commuove e chiede una pausa, ndr). Come si fa a pianificare nuove assunzioni, aumenti di produzione e poi, di botto, annunciare che siamo tutti licenziati? Nei mesi scorsi ho seguito con apprensione le sorti dei nostri colleghi dell’Elica, una crisi, come la nostra, che colpisce tutto un territorio. Jesi non è Milano. Quella vertenza toccava altri è vero, ma in fondo interessava tutti. Sono sempre stato abituato a pensare al collettivo e non al benessere personale”.

Ieri il maltempo, oltre a causare danni nell’anconetano, ha di fatto limitato la giornata di protesta dei lavoratori Caterpillar. In mattinata, sotto una pioggia battente, è comunque scattato il sit-in davanti ai cancelli della fabbrica e poi nel pomeriggio c’è stato un volantinaggio in centro tra il corso e piazza della Repubblica. Il tutto in attesa dell’assemblea dei lavoratori di lunedì prossimo. Con la decisione di chiudere lo stabilimento di Jesi è probabile che l’azienda proponga per alcuni la soluzione di trasferirsi in una delle altre due sedi italiane in Emilia, a Castelvetro (Modena) e Bazzano (Bologna): “Spostarsi in un’altra città non è così facile anche se si tratta di lavoro. Speriamo non sia necessario” commenta Belegni. Ci sono colleghi che, smaltito lo stupore e la rabbia per un provvedimento-choc pensano al male minore: “Conosco la galassia Caterpillar, il modello applicato del capitalismo più estremo. Loro non si fanno intenerire dalle storie dei lavoratori e dalle proteste, se hanno deciso così andranno fino in fondo. Noi dobbiamo vendere cara la pelle e, come si dice in gergo, allungare il brodo. Loro sono un’azienda sana e questo è un vantaggio, per cui dovremo bloccare i licenziamenti, strappare ogni mezzo di supporto per poi reinserirci nel mercato del lavoro qui nel territorio”.

Davide Fiordelmondo, 24 anni in Caterpillar, è pragmatico, poi analizza le conseguenze a breve termine: “Sono separato e con due figlie, quindi una situazione abbastanza border-line. Con le finanze non sarà facile, ma cercherò di fare il possibile per limitare i danni”. La chiusura dello stabilimento jesino non è solo una crisi occupazionale, ma anche una ferita aperta nella storia della cittadina che ha dato i natali, tra gli altri, al tecnico della nazionale di calcio Roberto Mancini. La ‘Ferrari’ del settore del movimento terra è arrivata a certi risultati partendo da una storia ultrasecolare. Nel 2019 lo scrittore e storico jesino Tullio Bugari ha pubblicato il libro “La Simeide”. Una lotta vincente’ in cui racconta l’epopea dello stabilimento Sima, rilevato da Caterpillar nel 1996. Narra Bugari che la nascita del marchio risalga addirittura alla fine dell’800 e poi, nel secondo dopoguerra, ne diventa proprietario il marchese Fantauzzi.

Si inizia a respirare aria di Fiat: “Il marchese era un erede diretto di Vittorio Giuseppe Valletta, uno dei più grandi dirigenti della storia nella casa automobilistica torinese – spiega Tullio Bugari. Negli anni ’60 la Sima era leader in Europa per la produzione di cilindri oleodinamici. Lavorava per la Iveco e anche per la Caterpillar già al tempo. Quella pagina di storia poi finì male. Gli anni caldi sono stati quelli tra il 1977 e il 1989, dalla crisi al commissariamento, tra lotte cruente e una capacità politica non comune. In quegli anni si riuscì addirittura a dirottare un viaggio del presidente Sandro Pertini per fargli incontrare gli operai. Dall’89 è nata la Nuova Sima e poi sette anni dopo la Caterpillar”. La crisi odierna è molto pericolosa: “Senza quella fabbrica si distrugge un’identità, un pezzo di storia di Jesi. Una fabbrica all’avanguardia, con maestranze di qualità. Il sottotitolo del mio libro e il finale dei miei reading musicali parlano di una lotta vittoriosa: spero di non dover cambiare l’epilogo” conclude Tullio Bugari.

Articolo Precedente

Roma, un altro morto sul lavoro: operaio cade da 15 metri mentre lavorava sul tetto di un deposito

next
Articolo Successivo

Navigator, emendamento per garantire la continuità occupazionale di 2.500 addetti in attesa del passaggio ai centri per l’impiego

next