Quello tra il sistema calcio e il mondo della criptovaluta appare come il perfetto matrimonio di convenienza. Da un lato un calcio sempre più indebitato, specialmente ad altissimi livelli, in perpetua ricerca di risorse fresche da bruciare sull’altare di bilanci in perdita strutturale, o quanto meno per mantenere sotto controllo spese ai limiti della sostenibilità. Dall’altro un mondo che prova a uscire dall’anonimato del web per fluire nel mainstream, raggiungere le masse e diventare un nome affermato attraverso lo sfruttamento di una delle piattaforme globali per eccellenza, il calcio appunto. Se è innegabile la presenza di un trend in costante crescita riguardante le aziende che accettano valuta virtuale come Bitcoin (BTC) o Ethereum (ETH), è altrettanto vero che la criptovaluta soffre di un problema di immagine legato alla sua volatilità. Anche tra gli addetti ai lavori ci sono opinioni contrastanti: lo scorso settembre la Banca centrale cinese ha rilasciato un comunicato nel quale dichiarava attività finanziarie illegali le transazioni legate alle criptovalute. Per contro, la Bank of America ritiene che il fenomeno dei Bitcoin sia troppo grande per essere ignorato. In questo contesto poco lineare, il calcio è visto come un veicolo importante per “rassicurare” le masse.

Milan, Ajax, Paris Saint Germain, Southampton, Brugge: sono diverse le società coinvolte con le monete virtuali. Lo scorso agosto il Milan ha ufficializzato un accordo di sponsorizzazione con l’exchange trading BitMEX, società specializzata sia nel trading di criptovalute che in quello di derivati digitali, il cui logo compare sulla manica delle maglie rossonere. Si parlava di problemi di immagine e anche in questo caso non sono mancati, visto che il giorno stesso dell’annuncio la Corte federale di Manhattan sanzionava BitMex a pagare 100 milioni di dollari di multa per una serie di violazioni, anche dei protocolli antiriciclaggio, nella gestione della piattaforma di trading di criptovalute. Questo tipo di sponsorizzazioni sono proibite in alcuni paesi, quali ad esempio l’Inghilterra, dove però Bitcoin e simili non sono certo assenti. In Premier League il Southampton annovera, tra i propri partner economici, la piattaforma online learncrypto.com, sito no-profit dai contenuti educativi creato dal main sponsor dei Saints, Sportbets.io, allo scopo di informare le persone “sulle tecnologie blockchain e cripto, espandendo contemporaneamente l’alfabetizzazione finanziaria digitale, in un momento in cui il settore sta crescendo esponenzialmente”.

Se Ajax e Brugge hanno concluso accordi di sponsorizzazione pagati in criptovalute, ci sono anche società che, pur entrando nel mondo della valuta virtuale, si tutelano contro la volatilità dell’investimento. È il caso del Psv Eindhoven, che con il proprio sponsor Anycoin Direct ha firmato un accordo di garanzia contro le eccessive fluttuazioni delle criptovalute, nel quale è previsto il pagamento di un importo fisso che prescinde da eventuali forti deflazioni della moneta. Molte società possiedono un proprio portafoglio crittografico, gestito dal direttore finanziario. Le entrate, oltre che dalle sponsorizzazioni (dove consentite), derivano dai criyto token, sorta di gettoni virtuali (o, nel caso di prodotti legati al calcio, beni digitali collezionabili), che consentono al tifoso di entrare in possesso di contenuti esclusivi e partecipare a processi decisionali votando su sondaggi, oppure di accedere a sconti e promozioni particolari. La piattaforma leader nella gestione di questi contenuti legati al calcio è Socios.com, già main sponsor dell’Inter (e del Valencia), ma che in Serie A lavora anche con Milan, Juventus, Roma, Bologna e Napoli. In Europa probabilmente farà scuola il caso Messi, con una parte del suo bonus alla firma pagato dal Paris Saint Germain in crypto token per i tifosi. Due parole anche sugli NFTS, i token non fungibili, ovvero oggetti virtuali e unici dotati di specifico certificato di proprietà. Un domani il Manchester United potrebbe creare un token virtuale del gol in rovesciata segnato da Wayne Rooney nel derby contro il Manchester City del 2011, e venderlo in numero limitato ai propri tifosi. Come una carta Pokemon limited edition non in formato fisico.

Oltre alla già citata volatilità dell’investimento, le criptovalute presentano altri aspetti controversi, in primis quello dell’impatto ambientale. Trovandosi ancora in una fase primordiale, queste risorse finanziarie digitali richiedono molta potenza di calcolo e di energia. Da uno studio dell’Università di Cambridge è emerso che una transazione in Bitcoin richiede circa 707,6 kilowattora, cifra paragonabile al consumo di una famiglia americana media per oltre tre settimane. Alex de Vries, esperto di valuta virtuale e blockchain, ha dichiarato alla BBC che, qualora i Bitcoin dovessero diventare una moneta di uso comune, la produzione globale di energia dovrebbe raddoppiare. VISA, sostiene De Vries, può gestire migliaia di transazioni al secondo, un numero impensabile per la rete crittografica. Oltre al consumo di energia, si pone quindi anche il problema dell’ammasso di rifiuti di materiale informatico da smaltire. Temi che cozzano contro la sensibilità green che si sta diffondendo un po’ ovunque, quindi anche nel calcio. Ma il business rimane business, e vale per tutti la dichiarazione di Bob Madou, responsabile degli affari commerciali del Brugge. “Abbiamo codici etici, effettuiamo controlli per tutti i partner e cerchiamo aziende con standard e valori comparabili. Ma abbiamo anche un preciso obiettivo commerciale: guadagnare soldi per raggiungere successi sportivi e garantire la sostenibilità del nostro bilancio. Una società calcistica non può sentirsi responsabile di tutto”.

Anche i crypto token non hanno mancato di suscitare perplessità. Questa strategia di fan engagement globale, mirata a un’interazione più diretta tra il club e i tifosi anche attraverso sondaggi e votazioni quali, ad esempio, la scelta della livrea del bus della squadra o quale canzone verrà suonata a ogni gol di un proprio giocatore (quest’ultima consultazione è stata fatta, via app Socios, dalla Juventus), ha trovato anche decisi oppositori. Come i tifosi del West Ham che, attraverso la campagna “Don’t Pay To Have Your Say”, hanno ottenuto l’annullamento della partnership tra gli Hammers e Socios.com, ritenendo ingiustificabile il dover pagare per esprimere la propria opinione. Specialmente in una società dove i sondaggi tra i tifosi non sono mai mancati. Su Socios un gettone equivale a un voto, ma alcune consultazioni possono limitare l’uso dei gettoni a cinque, dieci o venti. Dal suffragio universale al suffragio fiscale.

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