A palazzo Chigi c’è grande confusione attorno alla vicenda Telecom Italia. I sindacati sono sul piede di guerra perché temono una pesante ristrutturazione. E il governo, sotto pressione, non si è ancora espresso chiaramente su cosa intende fare. Anzi, secondo indiscrezioni, sarebbe in atto un braccio di ferro fra il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, e quello per l’Innovazione, Vittorio Colao. Il primo è disponibile ad un intervento massiccio dello Stato in Telecom, meglio nota come Tim. Soprattutto per salvaguardare l’occupazione. Per Colao, invece, il governo deve pensare allo sviluppo della connettività senza necessariamente passare per un maggior impegno nell’ex monopolista di Stato.

Nella partita è intervenuto poi anche Beppe Grillo che ha promosso l’idea della “creazione di due reti in fibra in concorrenza sul mercato all’ingrosso: Open Fiber da una parte e Tim dall’altra, in grado entrambe di attrarre investitori istituzionali interessati ad investire su asset di lungo termine”. Una soluzione che, secondo il fondatore del Movimento 5 Stelle, potrebbe vedere Cassa depositi e prestiti uscire dal capitale di Open Fiber per reinvestire la maxi-plusvalenza in azioni dell’ex monopolista di Stato, fortemente indebitato. Nel dibattito è poi intervenuto anche Fratelli d’Italia che ha spezzato nuovamente una lancia a favore della rete unica. Con Giorgia Meloni che è tornata a parlare della necessità di un controllo pubblico sulle autostrade telematiche, attraverso un operatore che operi esclusivamente sul mercato all’ingrosso e non offra servizi di telefonia. E cioè il progetto dell’ex premier Giuseppe Conte, propenso a sostenere la fusione della rete in fibra di Tim (FiberCop) con quella di Open Fiber.

Il caos insomma regna sovrano. Ma, pur nella confusione, è evidente sin d’ora che lo spezzatino dell’ex monopolista di Stato resta la via maestra: sembra infatti ormai inevitabile la separazione della rete dalle attività di telefonia e dal cloud. E’ altrettanto chiaro che ad avere l’ultima parola sull’affare Tim sarà il ministero del Tesoro che controlla Cassa Depositi e Prestiti, socio sia di Tim che della rivale Open Fiber. Soprattutto nel caso in cui dovesse rispuntare dal cassetto il progetto della rete unica. Un piano che da anni è bloccato perché non si riesce a trovare la quadra sui debiti e sul numero di dipendenti che dovranno confluire nella futura nuova società della rete unica.

Prima di qualsiasi nuova mossa, il governo Draghi dovrà però fare i conti con Vivendi, primo socio di Tim con quasi il 24%: l’azionista francese non ha apprezzato il prezzo di 50,5 centesimi messi sul piatto dal fondo americano Kkr nella sua manifestazione d’interesse non vincolante. Secondo quanto riferito da Il Messaggero di domenica 5 dicembre, il numero uno di Vivendi, Arnaud de Puyfontaine, e l’amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti, Dario Scannapieco, si sarebbero incontrati nel week end per trovare un’intesa. Accordo che però taglierebbe fuori gli americani di Kkr passando per un’alleanza franco-italiana sulla scia anche dei colloqui intercorsi lo scorso 26 novembre fra il premier Draghi e il presidente francese Emmanuel Macron.

Non a caso, nella dichiarazione introduttiva del trattato Italia-Francia, Draghi ha parlato di una nuova cooperazione nel campo “tecnologico, nella ricerca e nell’innovazione”. E, del resto, perché mai Vivendi dovrebbe lasciare spazio ad un nuovo socio statunitense bruciando buona parte del suo investimento? E soprattutto perché mai dovrebbe farlo proprio alla vigilia di uno spezzatino che potrebbe far emergere nuovo valore dall’azienda? L’unico problema è il fattore tempo perché, come ha spiegato il numero uno della rivale, Vodafone Italia, Aldo Bisio, questo non è un buon momento per le compagnie telefoniche. “Stiamo morendo di eccesso di concorrenza, in Italia e in tutto il Sud Europa. Nelle telecomunicazioni c’è una fase di pesantissimo dumping, si vende il servizio a una frazione minima di quello che è il costo di produzione” ha precisato il manager. Tempi duri che sono ancora più difficili quando, come in Tim, i conti non quadrano.

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