“Una svolta per il tumore cervicale”. È così che gli oncologi definiscono il vaccino per l’HPV, il papilloma virus, l’unica vera arma che abbiamo a disposizione per prevenire il tumore della cervice uterina e, in alcuni casi altre forme di cancro, come quello ano, all’orofaringe, alla vagina, alla vulva e al pene. “Il vaccino per l’HPV rappresenta sicuramente la prevenzione primaria per almeno 90% delle lesioni pretumorali e tumorali del collo dell’utero”, dice Eleonora Preti, esperta nelle patologie HPV-correlate dell’Unità di Ginecologia Preventiva dello Istituto europeo di oncologia. “È protettivo se svolto in giovane età anche sui tumori HPV correlati maschili e femminili del tratto orofaringeo, ma questi tumori sono comunque rari e non tutti sono HPV correlati (meno del 50%)”, aggiunge.

In un recente studio del King’s College di Londra, finanziato dalla Cancer Research UK e pubblicato sulla rivista Lancet, l’incidenza del cancro al collo dell’utero si riduce dell’87% nelle donne vaccinate tra i 12 e 13 anni d’età, del 62% in quelle vaccinate tra i 14 e i 16 anni d’età e del 34% in quelle raggiunte tra i 16 e 18anni d’età. Questi dati sono la prima evidenza diretta dell’impatto del vaccino anti-HPV bivalente sulla popolazione, che protegge contro i ceppi 16 e 18m quelli più comuni e ritenuti responsabili di circa il 70-80% di tutti i tumori alla cervice uterina e del 70% delle lesioni precancerose di vulva e vagina HPV-correlate, oltre che del 90% dei casi di cancro all’ano.

Nonostante queste numerose evidenze scientifica pro-vaccino, la copertura in Italia continua a essere molto scarsa. “Per essere efficace la copertura vaccinale deve essere almeno del 80%”, dice Prete. “Attualmente siamo da alcuni anni intorno al 60%, alcune regioni anche meno, e attorno al 20-30% per i maschi quindi siamo assolutamente lontani dalla copertura di gregge”, aggiunge. La pandemia di Covid ha poi rallentato l’obiettivo. “I dati delle coperture vaccinali (ciclo completo) 2020, sia per le femmine che per i maschi, mostrano un significativo calo rispetto a quelle riferite al 2019”, si legge nel report con i nuovi dati pubblicati dal ministero della Salute sulle coperture nazionali e regionali per la vaccinazione anti-HPV nella popolazione femminile e maschile. “Il decremento delle coperture può essere dovuto principalmente alle difficoltà organizzative dovute alla gestione della pandemia”, aggiunge. “Il problema è duplice perché accanto alla vaccinazione anti-HPV ha subito uno stop anche lo screening con Pap-test e hpv test, come dimostrano i nostri studi nazionali”, sottolinea Preti. I test di screening eseguiti in meno rispetto al 2019 sono complessivamente 371.273 (55,3%). Pur con piccole oscillazioni fra le Regioni, comunque nessuna alla fine di maggio 2020 ha accumulato ritardi inferiori al 40%. Questo valore trasformato in tempo diviene un ritardo medio di 2,8 mesi (con oscillazioni che vanno da 2,1 a 3,2 mesi). Il numero di lesioni “CIN2+” non diagnosticati è stimato in 1.676: sono tumori che si presenteranno purtroppo in stadio avanzato e andranno curati con trattamenti più lunghi e invasivi. “È importante che passi il messaggio che la prevenzione non è un atto differibile, o addirittura accessorio”, dice Preti.

Quella contro l’HPV è una vaccinazione non obbligatoria, ma fortemente raccomandata. “La vaccinazione è raccomandata come target primario in Italia nei dodicenni, femmine e maschi”, sottolinea Preti. “Può essere eseguita fino ai 45 anni per maschi e femmine. Inoltre – aggiunge – è raccomandata nelle donne trattate per lesioni precancerose di alto grado immediatamente dopo la chirurgia”.

Sebbene possa essere effettuato anche in soggetti che abbiano già contratto il virus dell’HPV, il vaccino non ha valore terapeutico. “È uno strumento preventivo”, dice Caterina Ricci, specialista in ginecologia oncologica, prevenzione HPV e patologie del basso tratto genitale presso il Policlinico Agostino Gemelli di Roma, spiegando che “il suo impiego nella popolazione adulta positiva al virus deriva dalla potenzialità di copertura di più ceppi. Infatti, è piuttosto improbabile che un soggetto abbia acquisito tutti i ceppi contenuti nel vaccino nonavalente. Il vaccino ha quindi un’elevata probabilità di proteggere da ceppi diversi da quello eventualmente contratto. Nel caso di soggetti positivi a uno o più genotipi vaccinali, inoltre, il vaccino può svolgere un effetto boost, di richiamo e potenziamento al sistema immunitario naturale. Essendo preventivo, la sua massima efficacia è però nella popolazione negativa al virus”.

Riguardo la popolazione che ha già contratto il virus, un dato interessante è quello relativo alla prevenzione delle recidive: “Ci sono dati recenti ma robusti – afferma Ricci – che supportano l’utilità del vaccino nonavalente nell’abbassamento del rischio di recidiva soprattutto nel post trattamento chirurgico delle lesioni HPV correlate. A questo è seguita, proprio negli ultimi mesi, una indicazione, già recepita da alcune regioni, di possibilità di vaccinazione gratuita per le donne che hanno ricevuto un trattamento per lesioni HPV correlate, con l’obiettivo di proteggere dai ceppi non acquisiti e di abbassare il rischio di possibile recidiva”.

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