Ero a Parigi e ho cercato di conciliarmi con la Ville Lumière. Anzi consiglierei al sindaco Sala di farsi un giretto da quelle parti e ispirarsi un po’ per luci e lumi. In confronto il centro di Milano (esclusi gli scintillanti grattacieli) in fatto di illuminazione sembra un cimitero.

Questa che sto per raccontare, invece, è una storia di lazzaraggine intellettuale.

Era un pezzo storico dell’arte contemporanea. La Gallerie Pièce Unique aperta nel 1988 nel cuore di Saint Germain des Pres in Rue Jacques Callot 4, la madre di tutte le gallerie. Al suo fondatore Lucio Amelio guardavano come un totem i galleristi di tutto il mondo. Appena sei anni dopo Lucio moriva della brutta bestia e da testamento l’importante lascito finì nelle mani della sua “allieva” prediletta Marussina Gravaguolo, che per 31 anni ha portato avanti Pièce Unique secondo lo spirito del Maestro, confermando la sua posizione di centralità nel mondo dell’arte.

Invece un bel dì Marussa e la sua socia Christine Lahoud in pieno lockdown si ritrovano con una bella lettera di sfratto. Motivo? Aumentare il canone? Noooo. Fare al posto della Galleria l’ampliamento di un bar con parcheggio bici. Mais cui proprio a Parigi, celeberrima sede della dell’Accademie Française con tutti quegli snobboni d’intellettuali, anziché tutelare una memoria storica preferiscono uno scostumato mangereccio. Direte voi, è una questione sciovinista: Ah, les italiennes.

Nelle stesse ore in cui Marussa era sfrattata in malo modo, senza se e senza ma, riceveva l’ennesima richiesta a prendere la cittadinanza francese. Al suo rifiuto, offrono opzione B: può conservare quella italiana e avere i benefici di entrambe. Ancora non sono chiari quali sarebbero.
Intanto Marussa e Christine hanno inaugurato proprio dietro l’angolo la galleria “Variations” (in 26 rue Mazarine) con la mostra “visionaria” dell’artista Paolo Calia, di origine sarda ma naturalizzato parisien, ex allievo di Federico Fellini, dal set del film Casanova oggi è artista quotato e portentoso scenografo.

Ho la testa immersa nei tableaux vivants di Calia, nel senso vibranti, quando ricevo un whatsapp dallo scienziato del genoma dei tumori Andrea Califfato, napoletano, amico, direttore del Department of Systems Biology, Columbia University, tanto per citare uno dei suoi tanti incarichi. L’eco della querelle Figaro vs Napoli è arrivata fino a New York: “Andassero a vedere le loro banlieue. Rischi la vita solo a farci volare un drone…”.

Certo pure la cattiva stampa è pubblicità. Ma se qualcuno de Le Figaro invece di spararle con la cerbottana si fosse ammantato di belle note e di bel canto (vedi la Prima dell’Otello di Mario Martone al Teatro San Carlo) della Prima della Stagione Sinfonica con ritorno sul podio di Michele Mariotti e del pianista/prodigio Alessandro Taverna, abbasserebbe il tono. E che bel vedere dalla prima fila di palchi quei ragazzi, fan dei Maneskin, che facevano il tifo per Mozart. Pure Beethoven gli suonerebbe “Figaro qua, Figaro la, non ne parlammo chiù”.

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