Il Consiglio di amministrazione di Tim tornerà a riunirsi venerdì 26 dopo che 11 consiglieri hanno firmato una lettera – anticipata da Repubblica e definita “dai toni aspri, dove si parla di sfiducia e preoccupazione” – chiedendo di “discutere di governance”, in questo momento in mano all’ad Luigi Gubitosi, e dello “stato di deterioramento dei conti”, sui quali pesa anche la decisione di appoggiare Dazn nell’acquisto dei diritti tv della Serie A. Oltre agli 11 consiglieri, anche il collegio sindacale avrebbe scritto “una lettera separata” al presidente Salvatore Rossi “esprimendo preoccupazione per l’andamento dei conti”. La lettera a Rossi è stata firmata da tutti i consiglieri ad eccezione dello stesso Rossi, di Gubitosi, dell’indipendente Paola Bonomi e del presidente di Cassa depositi e prestiti Giovanni Gorno Tempini che, scrive ancora Repubblica, “non sarebbe in disaccordo con il contenuto” ma “non avrebbe voluto esporsi prima del piano di Cdp atteso per giovedì 25”, vigilia del Cda di Tim. Da settimane, come anticipato da Il Fatto Quotidiano, la posizione di Gubitosi è in bilico su pressing di Vivendi, primo azionista con il 24% del capitale. Il socio francese non ha fatto mistero di essere insoddisfatto per i risultati del gruppo e il fronte del malcontento sembra essersi ampliato. Di fronte alla convocazione del Cda, i sindacati hanno richiesto un incontro al ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, spiegando che sono a rischio 40mila posti di lavoro nel caso in cui salti il piano strategico per il triennio che inizia a gennaio.

Secondo quanto si apprende, la riunione fissata per il 26 si svolgerà in continuità con quella dell’11 novembre che già allora era stata convocata su una richiesta in particolare dei rappresentanti di Vivendi per fare il punto sulle strategie di Tim. Nel corso della riunione del Cda del 26 si dovrebbe fare anche questa volta un punto sulla strategia in vista della preparazione del Piano Strategico 2022-2024. Un piano industriale fondamentale, secondo i sindacati: “Se salta sono a rischio 40mila posti di lavoro”, avverte il segretario generale della Slc Cgil, Fabrizio Solari. I rappresentanti dei lavoratori hanno scritto una lettera al ministro Giorgetti avvertendo che le ultime notizie “non lasciano più spazio a qualsiasi ulteriore dilazione” e “si va profilando l’ennesimo affossamento” dell’ex monopolista. “Un’azienda che aveva basato il proprio piano di rilancio industriale su un progetto infrastrutturale condiviso dal governo – scrivono – vede ora rimesso tutto in discussione per il repentino e ad oggi tutt’altro che chiaro cambio di impostazione dell’esecutivo. C’è in gioco la tenuta occupazionale di Tim con il rischio di migliaia di esuberi e la tenuta di tutto il settore Tlc”, scrivono i sindacati al Mise richiedendo un incontro urgente.

“La scelta obbligata per il futuro di Tim – afferma Solari – era all’interno di una scelta di politica industriale che il passato governo aveva in qualche modo avallato, con lettere di intenti fra Cdp, Tim e Open Fiber nell’agosto del 2020″. E quindi, di lì in avanti, l’azienda “si era predisposta ad una soluzione che era stata individuata e che corrispondeva a due parametri principali: quello di rispondere ad un programma del Paese, cioè dotarci di una rete di nuova generazione in grado di soddisfare tutte le esigenze del Paese, e l’altro aspetto era di trovare una sistemazione anche dal punto di vista industriale ai 40mila dipendenti di Tim. Che succede ora?”, si chiede il segretario di Slc Cgil.

Le decisioni della politica – argomenta Solari – “rischiano di uccidere una seconda volta” Tim che “ai tempi della privatizzazione era tra le primissime aziende di tlc del mondo, internazionalizzata e senza debito”. Dopo la cura della privatizzazione, aggiunge, “è diventata un’azienda molto esposta, con un’unica partecipazione estera e con un debito molto alto figlio di come appunto è stata fatta la ricapitalizzazione”. Un problema di governance dell’azienda, dice ancora il sindacalista, è “insostenibile per il Paese”. Sia in Germania che in Francia, dove il “monopolio della rete è in mano a Orange, è stata mantenuta la presenza significativa dello Stato mentre in Italia no”. In Italia, scandisce Solari, “si è permesso a Bolloré, con capitale francese, di arrivare alla soglia dell’Opa e oggi è l’azionista più importante di Tim con circa il 24% del capitale”.

Un Paese “moderno, con il ruolo che hanno le tlc, non può non avere una sua capacità di incidere in questo settore – conclude il numero uno della Slc-Cgil – Rilevo infine che dei primi 4 operatori in Italia – Tim, Wind, Vodafone e Iliad – nessuno è riconducibile al nostro Paese e questa è una situazione anomala”. Anche Fistel Cisl si dice particolarmente preoccupata: “Ad appena una settimana dall’ultimo Cda di Tim in queste ore, stanno emergendo azioni confusionarie dei consiglieri di amministrazione, sotto la regia degli azionisti che puntano a ribaltare la governance aziendale, anziché lavorare ad un piano industriale di sviluppo”, spiega Vito Vitale, il segretario generale del sindacato, che denuncia anche come la politica sia responsabile dello stato in cui versa l’ex monopolista.

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