Che fine ha fatto la direttiva europea sui whistleblower che l’Italia deve recepire entro metà dicembre? È quanto hanno chiesto Transparency International e The Good Lobby in una lettera al capo del governo Mario Draghi e alla titolare della Giustizia, Marta Cartabia. Perché dopo la delega all’esecutivo, scaduta ormai da quattro mesi, dell’iter legislativo si sono perse le tracce. E questo anche perché, denunciano le due organizzazioni, “a differenza degli altri paesi europei, l’Italia non ha voluto coinvolgere nel processo la società civile, da sempre elemento propulsivo della normativa in materia di segnalatori di illeciti o ‘whistleblower’”. Mentre i miliardi del Pnrr stanno per arrivare, le innovazioni legislative per tutelare e incentivare chi decide di esporsi e segnalare potenziali frodi o casi di corruzione all’interno di un ente pubblico o dell’azienda in cui lavora, con tutta probabilità mancheranno l’appuntamento.

L’Italia non rispetterà la scadenza del 17 dicembre prossimo, data entro la quale l’Unione europea ha previsto per tutti i paesi membri il recepimento della direttiva 2019/1937, che amplia la normativa per tutelare chi denuncia violazioni o reati all’interno del proprio ambiente di lavoro, compresa una stretta sulle sanzioni per punire con maggiore efficacia le ritorsioni nei confronti dei whistleblower. Ma a un mese dal termine fissato, non c’è modo di sapere che fine abbia fatto l’iter. “Più volte abbiamo chiesto un’interlocuzione formale in merito, senza mai ricevere risposta”, ha raccontato Federico Anghelé, direttore dell’organizzazione non profit The Good Lobby. Scaduta ai primi di agosto la delega con la quale il Parlamento chiedeva al governo di predisporre la bozza per la trasposizione della direttiva nel nostro ordinamento, andrà trovato un altro veicolo legislativo nel quale inserire il recepimento. A quel punto andrà portato a termine il lavoro dei ministeri sul testo che infine dovrà passare in contemporanea dalle commissioni di Camera e Senato per il loro parere. Con tutta probabilità, niente di fatto fino ai primi mesi del 2022. “Non rischiamo un’immediata procedura d’infrazione ed è già previsto un periodo di proroga, ma è un brutto inizio di fronte ai miliardi che il Piano nazionale di rinascita e resilienza è pronto a immettere nell’economia nazionale, con i conseguenti rischi legati a corruzione e infiltrazioni criminali e la necessità di contare su persone che di fronte a un illecito non si voltano dall’altra parte, ma segnalano alle autorità”, commenta Giorgio Fraschini, responsabile per l’attività di whistleblowing di Transparency International Italia, ong che si occupa di corruzione e che aiuta e sostiene chi intende fare una segnalazione.

Ma non si tratta solo del ritardo e l’Italia non è l’unica a non aver ancora completato il recepimento. Quello che maggiormente preoccupa “è il mancato coinvolgimento degli stakeholder, dalle organizzazioni ai sindacati, dalle associazioni delle imprese agli stessi whistleblower”, spiega il direttore di The Good Lobby, organizzazione non profit impegnata perché anche la società civile sia in grado di influenzare i processi decisionali e legislativi. E qui il confronto con il resto d’Europa è più evidente: “Sono ben 13 i paesi dove sono state avviate consultazioni, compresi Danimarca e Svezia dove il recepimento è già stato completato”. Eppure quando nel 2017 venne introdotta la normativa che estendeva anche al settore privato le tutele per i whistleblower, il Parlamento italiano fu protagonista di un’ampia attività di consultazione della società civile. “Oggi ce n’è altrettanto bisogno, proprio perché la direttiva aggiorna una legge già presente e la estende anche ad aziende di medie dimensioni, molte delle quali potrebbero sentirsi travolte da un uragano normativo e per questo andrebbero sentite le loro rappresentanze, tra gli altri”, continua Fraschini. Non una questione di semplice apertura al dialogo, ma sostanziale anche sul fronte delle “autorità di regolamentazione” che andranno individuate all’interno di ogni paese Ue e che dovranno occuparsi delle linee guida in materia, ma anche di ricevere e indagare le eventuali segnalazioni dei lavoratori. “Del settore pubblico fino ad oggi in Italia se ne è occupata l’Autorità anticorruzione (Anac), ma quale dovrà essere l’autorità in ambito privato è un mistero”.

Tra i passaggi più delicati della nuova normativa, alcune novità che fanno la differenza rispetto a quanto previsto fino ad oggi dall’ordinamento nazionale. “Innanzitutto si allargano i soggetti segnalanti, coinvolgendo anche volontari, consulenti e più in generale chi assiste o sostiene il segnalante principale, per il quale si prevedono misure di sostegno da parte delle autorità, compreso quello finanziario e di supporto psicologico”, spiega Transparency International. La direttiva prevede inoltre la presenza e l’implementazione di specifici canali di segnalazione. E poi c’è la questione delle ritorsioni, che l’Europa descrive in uno specifico elenco, e delle sanzioni. “Qui la direttiva pretende che siano efficaci, mentre fino ad oggi il nostro ordinamento ne prevede in numero limitato e sono per lo più inefficaci”, spiega Fraschini. “Come dimostra il fatto che su oltre mille segnalazioni arrivate lo scorso anno all’Anac, sono state solo tre le ritorsioni sanzionate. Peggio, si è trattato di sanzioni amministrative da 5mila euro alle quali si è accompagnato il totale oscuramento dei soggetti responsabili delle ritorsioni, mentre chi segnala è esposto a procedimenti disciplinari, alle spese per difendersi, e tutto sotto gli occhi dei colleghi”. Ultima e non ultima, la possibilità, in determinate situazioni, di divulgare pubblicamente la segnalazione attraverso i media o le ong, quando i canali preposti non abbiano funzionato o ci sia il rischio di inquinamento di prove. Che tutto questo infastidisca qualcuno? “È normale che sia così”, rispondono Transparency International e The Good Lobby. “Ma si tratta di una direttiva europea e non c’è modo di non recepirla, va fatto e basta. Semmai c’è il rischio di recepirla male e questo ritardo come il silenzio assordante di fronte agli appelli della società civile non fanno ben sperare”.

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