Una microcamera inquadra il grande parcheggio davanti al cimitero. Sullo sfondo, l’ingresso del camposanto di Castelve­trano, circondato tutto attorno da altre videocamere. Alcune posizionate anche all’interno. Di mattina la zona è un porto di mare: quando fa buio si trasforma in meta di tossici e amanti in cerca d’affetto. Ma anche di strani incontri, come una sera d’autunno del 2012, in cui carabinieri e polizia si trovano sullo stesso posto alla ricerca del latitante Matteo Messina Denaro, senza alcun appuntamento prestabilito. Due indagini differenti avevano condotto infatti gli investigatori al cimitero, ma gli uni non sono in quel momento a conoscenza della presenza degli altri. La polizia stava seguendo la sorella Patrizia, arrestata poi alla fine del 2013, in quegli anni l’ultimo anello della catena per arrivare al fratello. I militari dell’Arma invece avevano in­crociato il telefono di un indagato tra le celle telefoniche della zona. Il nome della famiglia Messina Denaro compare sul fron­tale di una cappella nel cuore del cimitero, presidiata per gli anniversari e la festa di Ognissanti da una delle sorelle del lati­tante. Un giorno una di loro si presenterà al commissariato di Castelvetrano per restituire una teletrasmittente raccolta vicino alla tomba del padre, il vecchio don Ciccio ritrovato cadavere dopo sette anni di latitanza nel novembre 1998. L’auspicio era che l’ultimo dei ricercati della stagione stragista potesse parte­cipare a un incontro clandestino nelle vicinanze o all’interno della cappella.

“Per qualche minuto ci siamo preparati al peggio e mani alle pistole abbiamo pensato che in quelle macchine ci fossero gli amici di Matteo, poi c’è stato uno dei colleghi che ci ha fatto segnale con il riflesso di uno specchio e ce ne siamo andati” mi ha confidato qualche anno dopo un militare presente quella notte. Le immagini trasmesse dalla videocamera che osservava il piazzale eviteranno poi pericolosi fraintendimenti. Quando la sovrapposizione risulterà chiara, le auto torneranno in paese. Nel giro di niente la notizia arriva così in Procura, arricchendo l’antologia delle invasioni di campo, delle indagini sovrapposte e soprattutto della mancanza di un coordinamento autentico nella caccia a Matteo Messina Denaro. Tanto che in un’occa­sione i finanzieri si troveranno a piazzare un gps a bordo di un’auto che scorrazzava tra Castelvetrano e Campobello di Mazara, ma soltanto dopo si scoprirà essere quell’auto uno dei mezzi noleggiati dalla polizia per inseguire i complici del lati­tante. A breve entreremo nel campo minato di chi ha tentato di decifrare il codice e in un modo o nell’altro gli è stato im­pedito: in questo capitolo si tratta di due figure chiave che ci introdurranno nelle ultime inchieste su Messina Denaro e che ritroveremo lungo il corso degli altri capitoli. Entrambi hanno provato a stanare il latitante di Stato. Due testimonianze ine­dite, con racconti che aprono degli scenari sul dietro le quinte della caccia al latitante: l’appuntato Carlo Pulici, ex assistente di pg della dottoressa Teresa Principato ed il maggiore Carmelo D’Andrea.

Anche con lui gli incontri sono stati diversi e anche lui, come Pulici, è stato di volta in volta demansionato, mentre l’indagine sulle logge mas­soniche (di cui la figura in questione era responsabile per conto della dda di Palermo) è finita per essere archiviata. Indagine, questa sulle logge massoniche, di cui si perderanno le tracce as­sieme ad altre piste, come quelle sui protettori eccellenti del la­titante. Carmelo D’Andrea, questo il suo nome, sarà invitato a rassegnare tutte le deleghe, e spostato a incarico minore. D’An­drea, all’epoca comandante della prima sezione del gico delle Fiamme gialle, all’indomani del pensionamento, ha deciso di raccontarsi. Memoria storica delle Fiamme gialle sulla valle del Belice, feudo dei complici di Messina Denaro, ma anche dei suoi addentellati nel palermitano, per dodici anni era stato alla Dia, nel pieno delle indagini sulle Stragi del ’92, e da alcuni anni era rientrato alla Finanza. “In punta di piedi ci coordina­vamo con i vertici delle altre forze speciali, quando ancora non c’era un coordinamento verticale con la Procura, eravamo visti un po’ come figli di un dio minore, ma con la dda si era strut­turato un ottimo feeling, soprattutto in alcuni filoni di indagine su grossi investimenti e questioni patrimoniali, ma anche per fornire informazioni per individuare eventuali prestanome di spessore del latitante” si racconta Carmelo, anche lui in questi anni compagno di incontri al solito bar che sta sull’uscio del centro di Palermo.

La Finanza in quegli anni si era accreditata anche partecipando alle indagini preliminari sul blitz Eden del dicembre 2013, nel quale oltre alla sorella di Messina Denaro saranno arrestate altre trenta persone. Con il cambio dei vertici del gico e del Nucleo di polizia tributaria, Carmelo D’Andrea rimarrà l’unico ufficiale nella sede di Palermo con un know-how consolidato sulle investigazioni svolte fino ad allora sui ‘picciotti’ di Castelvetrano. Per oltre due anni è stato il punto di riferimento della Finanza nei rapporti tra un appuntato e un confidente, la ‘fonte Y’, che continueremo a chiamare così per tutelare la sua identità. La gola profonda verrà formalmente ac­creditata, fornendo indicazioni utili sulle tracce del latitante in provincia. Poi il maggiore Carmelo D’Andrea, nel 2015, è stato gradualmente allontanato, dopo aver concluso il passaggio di consegne delle indagini sul latitante, compresi i riscontri sulle dichiarazioni della fonte Y e del pentito Giuseppe Tuzzolino, altro personaggio che andremo ben a inquadrare. La sua se­zione è stata ridotta da venticinque a cinque unità e incaricata di evadere gli accertamenti richiesti dalla Prefettura di Palermo per il rilascio delle certificazioni antimafia e dell’iscrizione nelle white list per le aziende che partecipano agli appalti pubblici. Una mansione impiegatizia quasi ai margini di tutto, e soprat­tutto delle indagini che scottano.

*Tratto da Matteo Messina Denaro, latitante di Stato, di Marco Bova. Per gentile concessione di Ponte alle Grazie

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