di Monica Valendino

Una volta per credere serviva vedere. Oggi si vede e si sente di tutto attraverso tv e internet, per cui si crede a tutto. E la confusione che si insinua tra la politica e la gente comune non fa altro che generare incertezze o false certezze a seconda di come la si voglia guardare. Ad esempio va di moda oggi parlare di libertà: di manifestare, di lavorare, di curarsi come si vuole, di poter affermare quello che si desidera senza censura alcuna. Un mondo che ha il sapore più di un’anarchia annacquata che di un mondo dove vige il diritto. Perché c’è una bella differenza tra libertà e diritti. La prima addirittura assume un aspetto negativo, di non costrizione ad alcuna regola; il secondo invece ha un valore positivo, di pretesa di libertà attraverso regole.

Eccoci al dunqueperò, al mondo d’oggi dove la politica italiana governata dai migliori (che ricordiamo deriva dal greco, che origina l’aristocrazia) offre il peggio di sé in termine di regole. Il green pass tanto voluto da Mario Draghi fin dall’inizio ha suscitato dubbi. Sia sull’efficacia sanitaria sia soprattutto per come è concepito. Alcuni esempi? Perché la durata dev’essere di un anno quando la validità dei vaccini è assai minore? Perché permetterlo ai soli vaccinati con una dose quando la protezione reale (che pur non è completa al cento per cento) avviene con la seconda e ora con la terza dose? Perché serve sui viaggi a lunga percorrenza e non nelle intasate metropolitane o autobus locali? Perché al bar al banco possiamo stare tutti assieme, mentre al tavolo distanziati serve esibire il lasciapassare? Soprattutto perché ricattare le persone sul piano lavorativo (garantito dall’articolo 1 della Costituzione) quando basterebbe a questo punto imporre un obbligo vaccinale eterogeneo? Forse si ha paura delle richieste di risarcimento dovute a un siero che, a dir si voglia, rimane emergenziale?

Dall’altra parte la libertà di opporsi a un non obbligo assume troppo spesso connotati oscuri, con chi ha interesse a creare ulteriore confusione (come se non bastassero politici e stessi medici a crearla) che trova terreno fertile in persone che non vedono l’ora di dire no a qualcosa. Che sia esso il vaccino stesso, o che sia il pass o che siano le regole che devono vigere in tempi di pandemia.
Ma invece di ragionare la politica continua a offrire dubbi: sui bambini ora si aprirà un’altra battaglia. Fino a ieri erano al sicuro, scuole aperte e nessun rischio grave. Ora si punta l’indice verso di loro come serbatoio potenziale di infezione. Allora perché non chiudere direttamente le scuole se sono così a rischio, almeno finché la campagna vaccinale non li proteggerà? Scommettendo però che anche i genitori più favorevoli alla linea finora tenuta dal governo avranno dubbi rilevanti sulla vaccinazione ai loro figli.

Infine la grande domanda, quella che ancora non ha ricevuto risposta: perché aver paura dei non vaccinati se il siero proposto ha davvero l’efficacia dichiarata? In fondo a quel punto il problema dovrebbe essere relativo, visto il risultato ottenuto ad oggi in termini di copertura della popolazione. Oppure qualcosa non torna nemmeno lì? Ed ecco allora che il diritto di porre regole diviene arbitrario e il dovere a contestare certe incongruenze sfocia in falsi diritti camuffati da libertà.

La soluzione? Spegnere le tv, usare internet e soprattutto i social non per cercare risposte, ma porre domande e pretendere chiarezza. Ma scommettiamo che tra slogan, ricatti e cambi di rotta la fine del tunnel non è vicina?

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