di Ilaria Muggianu Scano

La strada è lunga ma è la prima volta che una legge costituzionale di iniziativa popolare agguanta il primo via libera per il riconoscimento in seno alla Costituzione. Pocos, locos y malunidos recitava lo stigma storicamente attribuito a Carlo V, all’indirizzo del sardo, stavolta è completamente neutralizzato. Tutti i senatori, destra, sinistra, meridione e settentrione hanno unanimemente aderito alla battaglia di cui la Sardegna da quattro anni si è fatta strenua portavoce. In ballo il riconoscimento di pari dignità con le altre regioni d’Italia. Il traguardo è di quelli storici, anche se i passaggi parlamentari per l’effettiva assimilazione costituzionale devono superare l’esame della Camera e un altro al Senato per garantire completo compimento all’iter d’approvazione.

La denuncia degli svantaggi delle isole, dovuti alla conformazione geografica, che ne determina la tangibile inferiorità rispetto al resto dello stivale si sostanzia nel testo proposto dalla commissione Affari costituzionali, approvato all’unanimità a Palazzo Madama: “La Repubblica riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità”. Una grande battaglia politica dei Riformatori, di Roberto Frongia (mancato neanche un anno fa e al quale il partito ha dedicato questo primo traguardo), di Massimo Fantola e Michele Cossa, ma anche di tutte le forze politiche e sociali che i Riformatori hanno saputo coinvolgere, anno dopo anno. Una lotta trasversale che ha richiesto l’impegno sinergico di politica, mondo delle imprese, associazioni di categoria, mondo del volontariato, della cultura, dell’università e dell’istruzione. Uno scoglio che sembrava invalicabile ha richiesto la coesione di tutti i senatori sardi, da Emilio Floris di Forza Italia a Gianni Marilotti del Pd, da Giuseppe Luigi Cucca di Italia Viva a Elvira Lucia Evangelista ed Emiliano Fenu di M5S, ai sardisti Carlo Doria e Lina Lunesu.

Per Mario Segni, giurista e accademico sardo, figlio di Antonio, quarto presidente della Repubblica, antico protagonista incisivo di numerose campagne per le riforme e, sin dalla prima ora, delle battaglie per il principio di insularità, a Bruxelles, da deputato europeo: “Il principio costituzionale dà il diritto ai sardi il diritto di chiedere al governo di equiparare la Sardegna alle altre regioni nel grande progetto di ammodernamento tecnologico e ambientale. Questo è il suo vero significato: la fine dell’isolamento che ci ha penalizzati per decenni”. Gli unici a non pavesare a festa il carro del vincitore sono gli Indipendentisti di Sardigna Natzione per i quali le conseguenze della Perfetta Fusione del 1847 con gli stati di terraferma del continente sabaudo non farebbero, al più, che risibili concessioni di quanto un tempo venne svenduto per i privilegi di pochi.

Probabilmente oggi poco importano gli anacronismi, il rifiuto di ogni negoziato ipoteticamente anti storico, poco importa che il Regno venne svenduto da un pugno di sardi stessi per i privilegi di pochissimi, se l’obiettivo è un viraggio che consenta, se non l’anno zero della nuova questione sarda, almeno un iniziale piano di ragionevole dialogo tra le parti, precluso finora con ogni evidenza anche dall’inesistente spirito unitario dello scenario politico isolano che impediva, fino ad oggi, anche solo il miraggio di una legge costituzionale. Certo, non è la vittoria, il trionfale involucro aspetta piena transustanziazione nella richiesta di servizi concreti che azzerino gli svantaggi strutturali determinati dall’insularità, che partano ostinatamente dalla tecnologia, dall’ambiente e dai trasporti.

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