Blackstone pigliatutto a Milano. Dopo la sede del Corriere della Sera in via Solferino con tanto di strascichi giudiziari con Urbano Cairo, quella di Cassa Depositi e Prestiti in via San Marco e il Palazzo delle Poste in piazza Cordusio, il fondo americano di private equity da 208 miliardi di dollari è il nuovo proprietario del “mattone della nobiltà”. I rumor si sono inseguiti per mesi. Dal 3 novembre la notizia è ufficiale: la Reale Compagnia Italiana – cassaforte immobiliare dei cognomi della nobiltà lombarda con oltre un secolo e mezzo di storia alle spalle e 331 soci – ora è di proprietà di Blackstone attraverso la società lussemburghese Rialto Holdco, “veicolo” costituito ad hoc il 30 aprile 2021: valore dell’operazione 1,1 miliardi di euro, il “deal” più importante nel real estate milanese da anni a questa parte.

Nel portafoglio di Reale Compagnia ci sono edifici storici della città: dal palazzo del Bar Magenta ai più pregiati civici in via Vincenzo Monti, i numeri 2,4 e 6 di via Verdi, hotel in Piazza della Repubblica fino agli edifici nel quadrilatero della moda. Il “meglio” del patrimonio immobiliare meneghino per secoli tramandato fra famiglie patrizie e borghesi con cognomi pesanti come i Medici di Marignano – quella del vice presidente della società, Gian Giacomo, con legami parentali con i Medici di Firenze –, la famiglia del presidente di Reale, Achille Balossi Restelli che personalmente ne possiede il 3,75% (ma arrivano al 17% come stirpe). Nella compagine azionaria si trovano i Borromeo, i Melzi d’Eril, gli Agazzi de Villeneuve, i Brambilla di Civesio, i De Capitani d’Arzago e decine di altri. Ora il patrimonio verrà “valorizzato” da Kryalos, la società di gestione del risparmio guidata da Paolo Bottelli. Come? Rinegoziando i contratti di locazione e trovando nuovi conduttori interessati a piantare la loro bandiera nel ricco mercato immobiliare del capoluogo lombardo.

Non è solo la storia di un affare quella Blackstone-Reale. Ma di un cambio di paradigma: il capitalismo finanziario e spersonalizzato che si mangia la secolare rendita fondiaria del “sangue blu” italiano. Le menti dietro l’affare? Quelle dell’amministratore delegato di Reale Compagnia, Giancarlo Scotti, e dell’amico fraterno Gerardo Braggiotti, banchiere d’investimento, scuola Mediobanca e oggi advisor dell’operazione con Goldman Sachs. Fino all’ultimo hanno tenuto all’oscuro gli azionisti: è luglio quando Milano Finanza parla di un interesse di Blackstone. Il 21 del mese c’è l’assemblea dei soci per approvare il bilancio 2020 e i piccoli azionisti di Reale chiedono spiegazioni al management, mentre altri vogliono invece sapere perché non venga fatta una gara o un’asta ma si proceda in trattativa privata. L’ad Scotti, manager italiano nato a Città del Messico e con una carriera dentro Risanamento, Generali e Propensione spa, dice che si è trattato di un “market test” per un “sondaggio in via riservata sul potenziale interesse ad un investimento nella società” si legge nei verbali.

Le preoccupazioni sugli articoli di stampa? “Allo Stato non vi è alcun processo di vendita concernente le azioni della società o i suoi cespiti”, dice Scotti. È il 21 luglio. Il 24 settembre arriva una lettera agli azionisti da parte del board dove invece si parla di manifestazione d’interesse da parte “di un primario operatore”, senza mai fare il nome di Blackstone, con scadenza dell’offerta fissata per il 2 di novembre. Il 25 ottobre viene convocata una nuova assemblea dei soci in extremis: bisogna cambiare lo statuto per permettere la trasferibilità delle azioni a persone giuridiche (non era mai stato così nella storia di Reale) e per votare un bonus straordinario all’amministratore delegato: Scotti non possiede azioni della società ma si porta a casa 10 milioni di euro lordi.

Non è l’unica “accelerata” di questa vicenda. I tempi stretti dell’ingresso di Blackstone sono stati dettati probabilmente anche da alcune misure fiscali. In particolare nella scorsa legge di Bilancio era stato inserito un emendamento congiunto Lega-Pd che permetteva alle società di rivalutare i propri attivi a bilancio pagando un’imposta del 3%. Compagnia Reale ne ha approfittato, commissionando nel corso dell’anno una perizia per la rivalutazione del patrimonio visto che gli immobili erano iscritti a costi “storici”, assolutamente scollegati (e più bassi) da quello che è oggi il mercato immobiliare nella piazza di Milano.

Una rivalutazione che ha portato anche la società a caricarsi di debito erariale per 110 milioni di euro da saldare in tre rate uguali annuali entro il 2023 da 33 milioni ciascuna, finanziate grazie all’accordo con una banca della durata di 5 anni. Debito che ora si caricherà Blackstone, ma comunque inferiore ai regimi ordinari. Il Corriere della Sera il 20 ottobre ha svelato che la misura, sulla carta “una mossa per rafforzare patrimonialmente le aziende in un momento di difficoltà” si è invece “trasformata in un regalo”. Con un impatto sui conti pubblici pari a 80 miliardi di euro di mancato gettito per lo Stato in 20 anni. Non a caso la bozza di manovra per il 2022 corre ai ripari imponendo di spalmare la deduzione su 50 anni oppure, se si vuole mantenere la deducibilità in 18 anni, pagare un’imposta sostitutiva dal 12 al 16% a seconda dell’importo.

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