Non esiste rivoluzione indolore. Per quella motoria nella scuola primaria italiana, gli scontenti sono i maestri. L’altra faccia della medaglia del provvedimento voluto dal governo e inserito nell’ultima manovra che porterà due ore di educazione fisica in tutte le quarte e quinte elementari con un insegnante specializzato I laureati in scienze motorie festeggiano per un traguardo che inseguivano da decenni. I maestri protestano.

La sottosegretaria allo Sport Valentina Vezzali l’ha salutata come una riforma storica. E sicuramente si tratta di una novità importante, anche se per capire se e quanto riuscirà davvero a cambiare il rapporto tra sport e scuola italiana, vero tallone d’Achille del nostro movimento sportivo, bisognerà aspettare i risultati nel tempo. Certo è che l’ormai prossimo arrivo degli insegnanti di educazione fisica alla primaria sta creando anche dei malumori, che forse al governo avevano sottovalutato. A recriminare adesso sono proprio i docenti, quelli che ci sono già: i cosiddetti “maestri unici” a cui tra mille difficoltà è affidato l’apprendimento dei nostri bambini. E che si sentono sviliti, quasi in pericolo, come spiega Leonardo Palmeri, Coordinamento Nazionale di Scienze della Formazione Primaria: “Il Ministero ha pensato bene a cosa comporterà questa scelta, non solo per la nostra categoria ma anche per il futuro della scuola in Italia?”.

Sono tanti i problemi messi in rilievo. Il primo è proprio di “visione”: secondo il Coordinamento, l’insegnamento deve essere interdisciplinare, il cosiddetto “maestro unico” (che poi tanto unico non è, visto che ogni classe ha in media due insegnanti di disciplina, più quello di religione e a volte di inglese) non è un limite ma un vantaggio perché favorisce l’apprendimento del bambino, che in tenera età ha bisogno di una figura a cui fare riferimento. Mentre la presenza di troppi specialisti potrebbe essere controproducente. “È un’impostazione sbagliata, così si rischia di “secondarizzare” la primaria: domani allora avremo anche gli insegnanti di musica, arte, lingua. Tutti vogliono entrare nella scuola per insegnare la loro materia ma questo sarebbe un danno per i bambini”, commenta Palmeri.

Dietro entrambe le posizioni c’è anche, ovviamente, una questione occupazionale. I laureati in scienze motorie hanno spinto per anni per ottenere uno sbocco nella Pubblica amministrazione. I laureati di scienze della formazione primaria difendono i loro posti: le due ore di educazione fisica verrebbero inserite nell’orario regolare, quindi inevitabilmente a scapito dell’insegnamento curriculare.

Certo, se si guarda allo sviluppo delle attività motorie nella scuola, è difficile pensare che la novità non possa portare benefici. Ma il Coordinamento avanza delle riserve anche nel merito: “Nessuno contesta la preparazione dei laureati in scienze motorie. Ma un conto è insegnare l’attività fisica in generale, un altro farlo nella specifica fascia d’età dai 6 agli 11 anni, dove ci sono esigenze e tecniche diverse”, prosegue Palmeri. “Noi abbiamo studiato per anni per prepararci. Ci sono tanti giovani maestri che avrebbero le competenze per farlo, e invece sono precari perché negli ultimi anni sono state fatte sanatorie invece di concorsi. Il governo ha creato il problema, invece di risolverlo ora ne aggiunge un altro”. Infine, c’è anche una questione logistica: con 2 ore di educazione fisica per classe (ma solo in quarta e quinta), e un monte ore totale di 22 settimanali per docente, vista la grandezza media degli istituti italiani sarà quasi impossibile per i nuovi insegnanti essere impiegati in un singolo plesso, ma dovranno giostrare fra due o anche più scuole diverse, con disagi organizzativi evidenti. La riforma ancora non è stata approvata e già fa discutere. Aiuterà lo sport a scuola? Probabilmente sì. Risolverà tutti i problemi dello sport a scuola? Sicuramente no. L’obiettivo è evitare che ne aggiunga degli altri.

Twitter: @lVendemiale

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