“Il resto è sbagliato”: chissà quante volte se lo sarà sentito dire portando la spesa ai suoi concittadini o alla cassa del supermercato dove lavora. E chissà quante volte sarà caduto in acqua, aiutando il papà a ormeggiare le barche. Sì, si sarà trovato spesso di fronte agli improperi delle vecchiette panamensi o del papà, Julio Cesar Dely Valdes: salvandosi poi con la sua faccia sorniona e con quel sorriso a 32 denti all’epoca per fortuna ancora privo di due molari laccati in oro e con le iniziali Jdv incise sopra. Tamarrità a parte, Dely Valdes avrà le stesse sorti anche quando diventerà un calciatore affermato: una partita intera a prendersi gli improperi, con la testa tra le nuvole e fermo che manco la Ever Given nel canale di Suez, poi una giocata per diventare l’eroe dello stadio. Ultimo di 7 fratelli, nasce a Panama Julio Cesar: il calcio da queste parti non è un’opzione se vuoi svoltare, e lui non ci pensa granché, aiuta il papà pescatore con le barche e trova lavoro come commesso in un supermercato, per lo più porta la spesa a casa delle persone.

Qualcuno lo nota palleggiare e lo porta nell’Atletico Colon: ma pure il professionismo a Panama non garantisce granché e Dely Valdes continua a lavorare al supermercato. Ma il fratello di Julio, anche lui calciatore, capisce che il ragazzo ha troppo talento per giocare ad un livello pressoché amatoriale: lo porta in Argentina, in terza divisione, al Deportivo Paraguayo. Qui mostra che sa giocare a pallone, soprattutto che sa far gol: non è un centravanti molto funzionale per la squadra Valdes, non ha grossa voglia di fare a sportellate, di fare sponde, di creare spazi. Lui vuole solo far gol. Ed effettivamente li fa, 28 in 33 partite nel Paraguayo.
È il 1988: internet non c’è, ci sono vhs e qualche rivista specializzata. Roberto Recalt, presidente del Nacional Montevideo rimane impressionato a leggere quello score su Solo Futbol, e lo prende, in una squadra forte, e qui Julio si conquista il soprannome di “Manteca”, burro, perché con la sua andatura elegante ma potente riesce a sciogliere le difese avversarie. Segna, tanto, anche in Uruguay, e ci mettono gli occhi addosso i club europei: se ne interessa l’Atalanta, poi praticamente lo prende il Marsiglia, ma nello stesso anno in cui il Nacional cede Daniel Fonseca al Cagliari la società ha paura della reazione dei tifosi, e non se ne farà nulla. Sarà proprio il Cagliari, nel 1993, per sostituire Enzo Francescoli a puntare sul panamense, visti anche i buoni rapporti con Paco Casal, agente di Dely. In rossoblù trova Lulù Oliveira, che gli vende subito la sua Bmw, ma soprattutto gli regala un partner d’attacco ideale per complementarità: se Dely vive per il goal, Lulù è uno che aiuta la squadra, cerca l’assist, apre le difese avversarie.

E inizialmente trova Gigi Radice, ma le cose non vanno bene: e arriva Giorgi. Al buon Bruno non è che piaccia granché che Dely resti anche per un’ora praticamente fermo in avanti a non far nulla mentre la squadra, una squadra operaia come il Cagliari, battaglia per far punti…però segna. E tanto: segna in campionato, come 28 anni fa, contro il Torino in volo d’angelo, regalando la vittoria ai sardi; come in Coppa Uefa dove la squadra di Giorgi arriva sull’orlo della finale. Fa 17 gol in stagione: e osservando le cronache dell’epoca è curioso osservare come le sue pagelle alternino voti altissimi a 4 inesorabili con gare descritte come “trascorse lontano da tutto, giusto per stare in campo”. Ma questo è Dely Valdes: quella falcata incredibile che nel breve fa secchi i migliori difensori, quando gli va, vale più dei momenti di scarsa lena, e poi parlano i numeri.

Parlano i numeri anche quando fa realizzare una plusvalenza al Cagliari, col Psg che lo acquista per 7,5 miliardi di lire per sostituire Weah. E anche in Francia, Dely si adatta facendo ciò che gli è più consono: i gol, vincendo anche una Coppa delle Coppe, facendo emozionare l’allora presidente francese Jacques Chirac. Lo stesso fa in Spagna: diventando un idolo ad Oviedo e poi a Malaga, mettendo a segno un centinaio di gol nelle due esperienze. Poi il ritorno in Uruguay e infine a Panama, dove prima di smettere vince due titoli nazionali con l’Arabe Unido. Ha scelto poi la carriera di allenatore, guidando Panama per 4 anni, più varie volte le formazioni giovanili, poi il Malaga in Spagna e ancora le formazioni giovanili della nazionale panamense. E chissà, quando è in panchina, cosa darebbe per stare al posto dei suoi attaccanti: perché quando sei Dely Valdes pensi solo al gol, anche quando dovresti smettere di pensarci.

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