L’attesa. Per chi era ragazzino negli anni ’90 e aveva il pallone nel cuore, il tempo si misurava in quanto mancava ai mondiali: quel decennio ne avrebbe offerti ben 3. Con la crescita scandita da Italia ’90, Usa ’94 e Francia ’98, chi ha vissuto quegli anni da bambino e da ragazzino – senza internet e senza tv satellitare, ma al massimo con gli album di figurine o l’amato Guerin Sportivo a riempire i vuoti tra una partita e l’altra – si è inevitabilmente affezionato agli eroi, anche agli antieroi e ai comprimari per la verità, di quei mondiali.

Tra questi, molto probabilmente, sono i portieri quelli che sono entrati di più nei cuori: proprio qualche mese fa Ti Ricordi ha dimostrato che se si pensa al “portiere della Svezia” a tutti viene in mente Thomas Ravelli. Così inevitabilmente sarà con Zubizarreta quando si parla della Spagna, con Shilton e Seaman parlando dell’Inghilterra visto che in quegli anni si passavano il testimone, con Lama e Barthez per la Francia, Preud’homme per il Belgio, Taffarel per il Brasile…e poi… e poi c’era Campos.

Ecco, Jorge Campos era uno di quei giocatori per cui il tempo veniva scandito in base a “quanto manca al mondiale”. Portiere, sì…ma alto 1,68: tre centimetri in più di Maradona per capirci, e nonostante ciò uno dei numeri 1 migliori di quegli anni. Già, non solo personaggio Jorge. Messicano, nato ad Acapulco: innamorato dell’Oceano e delle onde che cavalca quando può con una tavola da surf, ma anche e soprattutto grande portiere…tra le altre cose però.

Jorge in porta inizia a starci da piccolo, nella squadra allenata dal papà, ma sempre a modo suo: gli piace stare alto per toccare il pallone, gli piace uscire veloce sulle gambe degli avversari, gli piace volare da un palo all’altro con la sua incredibile esplosività…e gli piace far gol, oltre che evitarli. E così quel ragazzino piccino, che non crescerà granché in altezza, diventa portiere professionista e arriva al Pumas, dove però ha davanti Adolfo Rios, il miglior portiere messicano dell’epoca. Perciò Jorge che ha fame di campo chiede al suo mister di cambiargli ruolo: “Posso giocare attaccante mister”. Follia? No, perché Campos segna 14 gol in 37 partite, uno di questi in finale Concacaf Champions, vinta proprio dal Pumas.

Un repertorio incredibile: rovesciate acrobatiche, pallonetti, sinistri chirurgici. A quel punto il mito del portiere goleador è bello che creato: in tanti sono pronti a goderselo in Italia, ai mondiali, ma il Messico non ci sarà, squalificato per un intoppo (o un imbroglio) avendo schierato quattro “over” tra gli “under” al mondiale juniores. Dunque è tutto rinviato. Ma ogni tanto arrivano le immagini di quel portiere basso, che fa gol e che indossa divise assolutamente incredibili: di un paio di taglie più grandi, sgargianti e supercolorate… disegnate dallo stesso Campos. Sfavillante ed esplosivo, spettacolare tra i pali e fuori: la tentazione sarebbe quella di ascrivere Campos al rango dei “portieri pazzi” sudamericani. Falso, pazzo Campos non lo è affatto, basta leggerlo oggi snocciolare consigli per i ragazzi: disciplina, allenamento, rispetto per i capisaldi…mica tequila e chicas? Interpreta un modo di pensare Campos: gioco bene se mi diverto, e mi diverto così.

Diventato ormai titolare fisso, Jorge ai mondiali del ’94 ci arriva da avversario nel girone proprio dell’Italia. Chiede di poter giocare anche attaccante, all’occorrenza, ma a capo della Fifa c’è la persona sbagliata, forse l’antitesi esatta di uno come Campos: Sepp Blatter, che bollandolo come fastidioso arlecchino gli dice che no, non può giocare anche come attaccante…pure se regole in tal senso non ce ne sono. Jorge non la prende bene ma si adegua: “Non capisco che cosa significhino le dichiarazioni di Blatter – dichiara Campos – Se io sono in grado di giocare in due ruoli, è un vantaggio che il mio allenatore, se lo ritiene opportuno, ha tutto il diritto di sfruttare. Certo, in tutto il Mondiale, mi piacerebbe giocare almeno un quarto d’ora da attaccante. Sarebbe una soddisfazione personale”.

Resterà in porta per tutto il mondiale, che il Messico chiuderà agli ottavi – dopo aver vinto il girone davanti a Italia ed Eire – sconfitto ai rigori dalla Bulgaria. Il mondiale, peraltro giocato benissimo e con varie parate importanti, contribuisce a far crescere l’immagine di Campos: la Nike, in un suo celebre spot, quello dei campioni contro i mostri, mette lui in porta in una squadra composta da Maldini, Kluivert, Cantona.

Passato all’Atlante e poi ai Los Angeles Galaxy, resta quasi prevalentemente in porta, guadagnando però i Mondiali del ’98 da titolare col Messico, con Blatter che ha deciso di continuare a fargli la guerra, vietandogli non solo di mettere il naso fuori dalla porta, ma pure le sue amate divise. Anche stavolta Campos non capisce ma si adegua, scegliendo la seconda divisa del Messico in caso la nazionale giochi con la prima e viceversa: anche qui i verdi si fermano agli ottavi, stavolta contro la Germania. Parteciperà pure ai mondiali 2002, ma senza mai giocare e in mezzo vincerà la Confederations Cup contro il Brasile nel 1999. E il ’99 è anche l’anno del suo ultimo gol, ancora una volta con la maglia del Pumas.

Icona eterna, Jorge Campos, ha ispirato personaggi dei cartoni, spot, divise e sfidato il potere…ma con nonchalance, come quando invece di prendere palla con le mani preferiva dribblare l’attaccante avversario e far ripartire l’azione. Oggi compie 55 anni. E se ieri il tempo veniva scandito sulla base di quanto tempo mancasse ai mondiali, oggi il metro è quanto tempo è passato. Auguri Jorge.

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