Il mestiere del regista è un po’ misterioso.

Ad esempio, non ho mai capito come si fa a stare di fronte a due attori che si devono baciare, con tutti i proiettori, i cameraman, i fonici, gli attrezzisti, segreteria di scena e compagnia bella e riuscire a dire agli attori come si devono baciare. E visto che non l’ho capito non ho mai messo una scena di baci veri in un mio videoclip. Tanto più che una volta il baciato sarei stato io e avrei trovato veramente insostenibile dire a una donna: baciami così e così.

Probabilmente avrei avuto un collasso. In effetti, a dirla proprio tutta, nella sceneggiatura ce l’avevo messo il bacio (con la bellissima Sara Bellodi per giunta) perché dal punto di vista narrativo era molto pertinente. Ma poi mentre giravamo Ti amo insalata mi ha preso un’ansia crescente e odio essere in ansia. Così ho cassato il bacio. Si vede solo un accenno di movimento. Il resto immàginatelo te.

Scrivo questo perché negli ultimi 14 giorni ho realizzato la regia della Serva Padrona e di The Telephone, due operette buffe che hanno debuttato ieri sera a Jesi al teatro Pergolesi. Sono stati giorni intensi, trascorsi bene grazie al sostegno e alla convivenza comunitaria con il grandissimo Mario Pirovano che nello spettacolo gioca il ruolo di mimo comico, fedele interprete di una tradizione che da mio padre risale fino ai giullari. Grazie a Dio è andata veramente bene.

Così stanotte mi sono messo a pensare a come avevo gestito la situazione e se avrei potuto fare di meglio. Per inciso, per me era una sfida notevole, mai allestito un’opera, settore notoriamente dotato di un pubblico in parte molto rissoso, mai lavorato con una compagnia “regolare”, mai messo in scena il testo di un altro…

Dopo un po’ mi son reso conto che tutti mi guardavano strano. Quando un cantante, il mimo, le sarte, i costruttori o chi fosse faceva una proposta davo loro generalmente ragione. Così a qualcuno è sembrato che invece di fare la regia gestissi un gruppo di autocoscienza teatrale dove tutti dicevano la loro e si metteva in scena il caos. Mi son detto: “Forse devo impormi!”. Ma mi piaceva tutto questo turbinare di idee e poi che importa se alla fine la regia è fatta in buona parte di contributi non tuoi? È il risultato che conta!

In effetti esistono due modi di fare il regista. Va per la maggiore arrivare in teatro o sul set e dire a tutti cosa devono fare. Una fatica boia. Che poi magari devi passare il tempo a incazzarti perché, si sa, l’essere umano ha pulsioni ataviche alla ribellione a qualsiasi forma di potere. Io preferisco l’altro sistema: all’inizio si spiega come vedi quel che succederà sul palcoscenico, se ne parla, si analizzano le scene cercando la logica di quel che succede e il concatenarsi conseguente di gesti, espressioni e parole. E poi si inizia a improvvisare seguendo questa linea.

È molto affascinante! Se hai fatto germogliare una sensazione di empatia, le persone iniziano a far funzionare la capacità, emotiva e istintiva, di inventare, di entrare in una specie di sogno a occhi aperti; il che è alla fin fine l’anima di uno spettacolo.

Ed è chiaro che accettare consigli, inglobare, non fermare, accettare, ascoltare, discorrere senza contrasti e, soprattutto, rinunciare a quei formalismi e sistemi di organizzazione del lavoro che sottolineano il tuo ruolo di potere sono elementi potenti per realizzare questo clima. Ovvio che sei il regista e resti tu a comandare, ma più come un direttore d’orchestra che come un generale. Fatte le debite proporzioni tra me e Michelangelo, è evocativa una sua frase; pare abbia detto qualche cosa tipo: “Io non sono bravo a scolpire, sono bravo a tirar fuori le statue dalla pietra”. A dire che la creatività è un processo magico che non puoi governare. È qualche cosa che succede al di là delle tue capacità ordinarie… la mente non razionale, infantile, pesca da un’area misteriosa dell’universo.

Certo, a volte ci sono persone che scambiano questo per debolezza, remissività o mancanza di idee. E magari provano ad attaccarti, opporsi per principio, fare zavorra, o tirar fuori la loro identità segreta di bullo del quartiere. Se lì ti incazzi sei perduto.

La tecnica è Fare il Sasso, disciplina cinese che era descritta in un intero capitolo andato perduto dell’antichissimo testo L’arte della guerra di Sun Tzu. In pratica fai finta di niente ma non ti sposti. Vai dritto senza dare a vedere di aver notato l’attacco. Continui a sorridere come un cretino. A volte questo comportamento genera dapprima panico, poi la diffidenza che le persone “normali” provano verso i pazzi e gli invasati e a volte si ottiene anche un po’ di rispetto da chi apprezza la pervicacia.

Se riesci a far continuare il lavoro di gruppo, il collettivo, andando avanti, impedisce qualsiasi intento zavorrante. È una legge simile a quella della forza di gravità ma più tosta. Il vero potere ce l’ha sempre il gruppo.

Sulla mia pagina Facebook trovi il diario fotografico di questo lavoro che è iniziato il 16 settembre con la costruzione di burattini e pupazzi. Ovviamente l’essere arrivato a Jesi con oggetti realizzati da me per lo spettacolo è stato un elemento utile per ottenere fiducia. Lo spettacolo si replica domani e dopodomani a Jesi. Poi sarà a Sassari il 12 e 14 novembre.

Articolo Precedente

Carmen Mola, sono tre uomini i vincitori del premio Planeta in Spagna: così si dà forza al testo

next