Cinema

Inedita, la scrittrice Susanna Tamaro così come non l’avete mai vista (né immaginata)

Nel film diretto da Katia Bernardi – in prima nazionale alla Festa di Roma - da perfetti ignoranti abbiamo ritrovato con piacere tracce sconosciute della scrittrice più odiata/venduta in Italia (e non solo), oltre a un sottile, delicatissimo, giocoso filo narrativo che si mescola ad immagini buffe, solari, autentiche

di Davide Turrini

“Libera. Da tutta la vita”. Susanna Tamaro inedita, anzi: protagonista del documentario Inedita. Un gioco di parole per girare attorno al fatto che guardando il film diretto da Katia Bernardi – in prima nazionale alla Festa di Roma – da perfetti ignoranti abbiamo ritrovato con piacere tracce sconosciute della scrittrice più odiata/venduta in Italia (e non solo), oltre a un sottile, delicatissimo, giocoso filo narrativo che si mescola ad immagini buffe, solari, autentiche. In Inedita non c’è solo la ricostruzione di un successo letterario sorto dal nulla e rifiutato dai più (si leggono di sfuggita i rifiuti cartacei di Guanda, Sellerio, Einaudi), ma c’è soprattutto una donna spiritosa. Un folletto saltellante che si racconta tra il buen ritiro di Porano assieme alla compagna di vita Roberta Mazzoni, segretaria viepiù, nonché sprone originario nel percorso letterario tamariano, e la casa nel bianco silenzio trentino dove Tamaro vorrebbe, slitta in spalla, cagnetto saltellante e linguoso al fianco, vivere di più nel resto della vita che verrà.

L’avevamo conosciuta come una signora scrittrice più asprigna, fumantina, tutta sulla difensiva rispetto alle bordate critiche quando i suoi romanzi uscivano (Per voce sola, Va dove ti porta il cuore, Anima Mundi), citando nonnine in fondo alla vita, amori sordi e sesso invisibile, ma anche qualche foiba e Julius Evola. Invece in Inedita ecco Tamaro a zonzo per giardinetti e rastrelliere a cercare bici da risistemare (“una delle mie passioni”, dice e poi si sporca le mani tra catene da ungere e ruggine da grattare via) o a passeggiare per Roma mentre rievoca l’apprendistato nel mondo del cinema e intanto indossa un bomberino da college, una cappelletto con visiera e un paio di cuffie arancioni così enormi da impedire la penetrazione di alcun rumore romano.

Per chi non lo sapesse, l’eccentricità va letta come sindrome di Asperger. Disturbo che ottunde, separa, isola, fa leggere il mondo senza esporre il proprio io anzi, schiacciandolo proprio. Niente maschere, niente malizia o secondi fini. “Inoltre sono androgina”. Tamaro letteralmente a nudo, ma anche vestita con ogni divisa possibile in un teatrino del travestimento, metaforicamente per i suoi stati d’animo e le sue “passioni”, finito in una sequenza fronte macchina e sfondo bianco con Susanna travestita da palombaro, karateka (altra passione), ciclista con tubolare a tracolla, apicoltrice (altra passione) con casco antiapi, alpinista con piccozza. Diciamolo, ancora una volta, il senso vagamente pop, ostinatamente sui generis, naturalmente scherzoso, di questo racconto biografico è proprio in questa sequenza surreale, che arriva comunque verso il fondo, ritmata da una chitarra elettrica tarantiniana. Tamaro è tutto fuorché quello che ti aspetti. Più che accigliata anticomunista e omofoba, eccola in t-shirt con Bruce Lee indossata con eleganza inattesa, ammaliata dal ronzio delle api o dal fruscio metallico delle ruote di una bicicletta che va. Odiata e sbertucciata da tutti in quanto seriosa anticonformista, sembra invece come caduta sul pianeta letterario italiano pestando sacri piedi e salamelecchi preconfezionati senza accorgersi di nulla. La regista Bernardi costruisce così un ponte linguistico, una sorta di simbiosi emotiva tra autore e protagonista, sfogliando briosa le pagine di un fumetto tra sgusciante riuscita commerciale e il distacco dal mondo dei salotti e dei premi stregati.

Animali, insetti, piante e fiori, il mondo di Tamaro, invece, è un po’ quello di Amelie e un po’ quello del turbamento di fronte al reale che chiede di recitare una parte. Inedita, infine, è un ritratto intimo profondo e concreto in un’identità al femminile senza spettacolarizzazione alcuna, sempre attorno a quell’inedito lato B meno conosciuto, oltre lo stereotipo sostanzialmente politico che l’ha resa regina delle lettere cattoliche e di destra. “Insegnavo arti marziali e una sera ad inizio anno c’erano due allieve che parlavano della prima lezione – chiosa la scrittrice per far capire il tunnel del cattivo giudizio e successiva documentaria riabilitazione – Una delle due diceva: sì la lezione mi è piaciuta, l’insegnante somiglia tanto alla Tamaro ma è molto più simpatica”.

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