Come è stato possibile che il processo per la morte di Giulio Regeni sia stato azzerato, quando invece nel processo per il caso Abu Omar – sequestrato dai servizi segreti italiani e statunitensi e torturato in Egitto – gli agenti della Cia imputati sono stati giudicati fino in Cassazione? La risposta è nella modifica dell’articolo 420 bis del codice di procedura penale avvenuta nell’ambito della legge delega al governo del 28 aprile 2014. Il presidente del Consiglio era Matteo Renzi e il ministro della Giustizia, Andrea Orlando. Ebbene prima di quella riforma il testo prevedeva che il giudice disponesse “anche di ufficio” la rinnovazione dell’avviso “dell’udienza preliminare … quando è provato o appare probabile che l’imputato non ne abbia avuto effettiva conoscenza… La probabilità che l’imputato non abbia avuto conoscenza dell’avviso è liberamente valutata dal giudice. Tale valutazione non può formare oggetto di discussione successiva né motivo di impugnazione”.

Quindi nel caso degli 007 americani l’allora presidente della corte di Milano, Oscar Magi, valutò che essendo stato emesso un decreto di latitanza si poteva avvalorare la presunzione di conoscenza dell’inchiesta. Senza contare – ma questo non entrò nella valutazione del magistrato – l’eco mediatica enorme perché l’inchiesta raggiunse i vertici del Sismi in Italia, poi prosciolti per l’apposizione del segreto di Stato dopo uno scontro tra la Cassazione e la Corte costituzionale. Gli imputati stranieri – difesi perlopiù d’ufficio nelle fasi preliminari – non potevano non essere venuti a conoscenza del processo. Anche perché come è noto gli agenti – dopo l’emersione dell’indagine con gli arresti e il successivo rilascio dei vertici del Sismi Marco Macini e Gustavo Pignero e il coinvolgimento del numero uno Niccolò Pollari – avevano appunto già tutti lasciato l’Italia. Ma in quel caso gli agenti della Cia – che poi nel tempo hanno ricevuto la grazia dal Quirinale – sono stati comunque giudicati e condannati in via definitiva a pene fra i 6 e i 7 anni. Nonostante le richieste di estradizione avanzate dalla Procura di Milano ai vari ministri della Giustizia non siano state mai inoltrate agli Stati Uniti. Il sequestro a Milano di Abu Omar – condannato poi in via definitiva per terrorismo e risarcito dall’Italia su ordine della Corte europei dei diritti dell’uomo – avvenne nel 2003 e il processo si è concluso nel marzo del 2014.

Non conosco gli atti del processo di Roma ai componenti dei servizi segreti egiziani e quindi non è semplice commentare la decisione della Corte d’assise di annullare il decreto che dispone il giudizio del gup in quanto non provata la legittimità dell’assenza degli imputati. Mi sono trovato in una situazione analoga – spiega il giudice Magi – quando ho presieduto il processo ai rapitori di Abu Omar, componenti della Cia nei cui confronti era stata emessa una misura cautelare con conseguente decreto di latitanza. Ai tempi – riflette il magistrato – non era operativo l’articolo 420 bis del codice di procedura penale che ha disciplinato il cosiddetto processo in absentia e si applicava ancora la dichiarazione di contumacia. Io respinsi con nettezza la richiesta dei difensori degli imputati latitanti di revocare la latitanza e di non emettere la dichiarazione di contumacia degli stessi, ma lo potei fare perché non ero ancora vincolato al dettato dell’articolo 420 bis che prevede la ‘certezza’ da parte del giudice che l’imputato abbia avuto contezza della pendenza del procedimento a suo carico per poterne dichiarare la legittimità dell’assenza. Non è colpa dei colleghi dell’Assise di Roma ma, eventualmente, del legislatore“.

La norma infatti ora prevede che il giudice proceda “… in assenza dell’imputato che nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio ovvero sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare ovvero abbia nominato un difensore di fiducia, nonché nel caso in cui l’imputato assente abbia ricevuto personalmente la notificazione dell’avviso dell’udienza ovvero risulti comunque con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo”. L’istanza presentata oggi dalle difese degli 007 egiziani era stata comunque rigettata dal giudice per l’udienza preliminare di Roma, Pierluigi Balestrieri, il 21 maggio 2021. Il magistrato aveva valutato che fosse “volontaria la sottrazione dal processo” degli imputati egiziani e che “la copertura mediatica capillare e straordinaria” avesse “fatto assurgere la notizia della pendenza del processo a fatto notorio”. La procura di Roma aveva depositato una memoria in cui si sottolineava che tutti gli imputati avevano “avuto certamente notizia dell’esistenza del procedimento penale italiano, essendo stati tutti e più di una volta, ascoltati dalla magistratura egiziana a seguito di richiesta rogatoriale di questo ufficio”.

Ora a decidere sull’eventuale sospensione del processo a carico degli 007 sarà lo stesso gup dopo che avrà intrapreso tutte le strade per rendere effettiva agli imputati la conoscenza del procedimento a loro carico. Dopo la rogatoria, che sarà chiesta in sede della nuova udienza, il giudice fisserà una seconda udienza, a distanza di qualche mese, per fare il punto sulle “ricerche” dei quattro imputati. Se resteranno irreperibili, il magistrato dovrà emetterà una ordinanza di sospensione del procedimento. L’iter previsto a quel punto è il rinnovo della rogatoria ogni 12 mesi. Il reato di omicidio non si prescrive.

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