Le elezioni comunali hanno confermato la disaffezione di buona parte degli italiani dalla politica. Non sono un politologo e mi astengo dal valutare le motivazioni della massiccia astensione dal voto, ma di una cosa sono assolutamente certo per averla vissuta in prima persona, e cioè che una buona parte di coloro che non sono andati alle urne (cui tra l’altro sarebbero da aggiungere le schede bianche e nulle) sono cittadini che votarono M5S e che ora non si riconoscono più in esso.

E mi sento di dire anche che una parte di questi sono coloro che si riconoscevano in una specifica lotta del movimento; quella contro le grandi opere. A cominciare dal Tav, ma non solo: anche il Terzo Valico, il Tap, ed altre battaglie locali contro le opere inutili e devastanti. Con quel 33% scarso di voti raccolti nel 2018 quei cittadini che mettono al primo posto, giustamente, le problematiche ambientali, si aspettavano che alle parole seguissero i fatti, qualora i grillini fossero andati al governo. E che, qualora non ci fosse accordo su questo tema, che rimanessero saldamente all’opposizione. Invece sono andati sì, al governo, ma i loro sani principi in campo ambientale si sono sciolti come neve al sole.

Abbiamo avuto così un ministro come Danilo Toninelli che ha incaricato una commissione di valutare la convenienza di tre tratte di alta velocità ferroviaria, ma poi ha appallottolato le relazioni che le cassavano e le ha gettate nel cestino. La politica ambientale, in generale, in Italia è proseguita esattamente come prima che andassero al governo. Anzi, è peggiorata: non solo si dà il via libera a nuove inutili tratte AV (senza più ovviamente la valutazione costi/benefici) ma addirittura si parla impunemente del Ponte sullo Stretto. Da partito anti-sistema, i cinquestelle oggi fanno parte di un governo estremamente gradito a Confindustria.

Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. E sono lacrime amare versate da chi ingenuamente ha creduto che quel nuovo movimento potesse davvero mischiare le carte in tavola, pretendendo che ai primissimi punti della politica – romana o locale – ci fosse la salvaguardia dell’ambiente. No alle grandi opere, sì a nuove aree protette; non all’abusivismo, sì alla lotta contro il dissesto idrogeologico; no a nuovo consumo di suolo, sì al ripristino del Corpo Forestale, eccetera, eccetera. Invece, il nulla. Solo l’attaccamento alla cadrega, come diciamo noi liguri.

E non mi si venga a dire che loro sarebbero meno peggio di altri e bisognerebbe votarli solo per questo. Il menopeggismo non porta a nulla, al massimo prolunga l’agonia. Meglio non varcare la soglia del seggio. Tanto, ormai è chiaro, il cambio di paradigma in politica non ci sarà mai.

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