di Fabrizio Cortesi*

È davvero diabolico tornare a parlare di nucleare in Italia e deprimente dover ascoltare chi lo ripropone, e questo non soltanto perché gli italiani si sono già espressi molto chiaramente in proposito per ben due volte con i referendum abrogativi del 1987 e del 2011, entrambi a vittoria schiacciante per il Sì. A onor del vero fa un po’ preoccupare che su temi e scelte così difficili da dirimere addirittura per ingegneri, fisici e scienziati, sia dal punto di vista tecnico sia economico, si chiami il popolo a esprimersi e a decidere, oltretutto fortemente influenzato dall’onda emozionale dell’apocalittico incidente nucleare di Chernobyl del 1986. Ma anche grazie a quella drammatica circostanza, ci andò bene lo stesso e vinse a plebiscito il Sì contro il nucleare.

Tuttavia il punto è che, ancora meno dei cittadini, saprebbero prendere la giusta decisione i nostri stessi politici, tanto sono condizionati, per usare un eufemismo, dal mondo industriale e finanziario, in molti casi poco interessato agli impatti ambientali delle proprie attività.

Prendiamo il caso del ministero della cosiddetta “transizione ecologica“: esso a ben guardare sta cercando di portare avanti più che altro una transizione tecnologica dell’economia e dell’industria, per consentirle di continuare a fare profitti, business as usual, solo spennellati di un po’ di verde (come va di moda), favorendo gli interessi dei grandi gruppi industriali, tra cui certamente quelli energetici e del fossile, a giudicare da come sono allocati gli ingenti fondi del Pnrr e i progetti supportati dai ministeri, come le trivellazioni e la cattura carbonica con stoccaggio sotto terra.

È altrettanto preoccupante il patrocinio che il ministro Roberto Cingolani sta dando alle tappe italiane di “Stand Up for Nuclear”, l’evento lobbistico internazionale di “sensibilizzazione sull’energia nucleare e sul suo ruolo quale fonte affidabile, pulita e sicura per la transizione energetica e per gli obiettivi europei di decarbonizzazione”! Strano il patrocinio adesso, dato che la stessa Commissione Europea non ha ancora ad oggi riconosciuto al nucleare lo status di energia pulita e fonte da usare per accompagnare la transizione verso le rinnovabili: si vorrà già portare avanti, il nostro ministro.

Tornando al nostro discorso iniziale dovremmo inoltre considerare che le scelte, poi abortite, di avviare il programma nucleare italiano le stiamo pagando ancora oggi molto care nella bolletta energetica, tra i cosiddetti “oneri di sistema“, ma ancor più per il fatto che né si ha idea di dove stoccare in sicurezza le migliaia di tonnellate di combustibile atomico, pericoloso e fortemente radioattivo ancora per migliaia di anni, né esiste ad oggi il fantomatico deposito nazionale. In realtà il problema non lo si risolverà mai, perché non esiste nessun sito sicuro e sufficientemente stabile geologicamente per questi pericolosissimi materiali, tanto meno in un paese ormai purtroppo fortemente antropizzato come il nostro.

Aggiungiamo a ciò che il nucleare nei paesi occidentali è in fase di dismissione, anche perché antieconomico: ha costi di realizzazione, gestione, manutenzione e di decommissioning lunghissimi, costi espliciti e nascosti insostenibili. Un settore che sta in piedi soltanto drenando immani quantità di fondi pubblici della collettività e che nasconde gli impatti, in realtà soltanto spostati nello spazio e nel tempo. Non ultimo, il nucleare, sia in ambito di ricerca sia commerciale, ha in genere sempre legami con il settore militare, non a caso la Francia è l’unico stato membro dell’Unione Europea ad essere dotata della bomba atomica.

Detto tutto ciò, inquieta un ministro “dell’ambiente” che candidamente, alla scuola politica di Italia Viva, rispolvera l’idea di riesumare il “cadavere” nucleare, dietro il paravento della quarta generazione a fissione e addirittura del nucleare a fusione, tecnologie che però ancora non esistono e non sono realizzabili commercialmente, né in tempi brevi né a costi ragionevoli, né in sicurezza. Insomma, riceviamo dal ministro messaggi davvero ambigui e ondivaghi su quello che dovrebbe essere la transizione ecologica.

Casualmente, poi, pochi giorni dopo questa uscita del ministro, l’Eni annunciava che i suoi “miracolosi” magneti superconduttori avrebbero passato il test oltreoceano di confinamento del plasma da fusione nucleare, fusione da loro subito dichiarata “green”, ancora prima di averla casomai vista. Sempre poi per puro caso, ecco dopo altri pochi giorni Matteo Salvini a renderci noto come non gli “dispiacerebbe affatto realizzare una centrale nucleare in Lombardia”, giusto per non mancare di privilegiare e coccolare come suo solito il Nord Italia.

Certo, fa comodo a una certa industria promettere che tra 30 anni arriverà il Sacro Graal (la fusione nucleare), come arma di distrazione, così da giustificare che nel frattempo, mentre un’effimera ricerca fine a se stessa divora immani risorse finanziarie pubbliche, il loro attuale business possa andare avanti indisturbato e i consumi pure, senza l’intralcio della reale transizione ecologica. Peccato che 30 anni di sopravvivenza accettabile il pianeta non li abbia più, ma nemmeno 10, dato che la crisi climatica ci ha già travolti pesantemente oggi.

È un po’ la stessa tattica, mutatis mutandis, dei green deal, che procrastinano tra 10, 20, 30 anni i target di riduzione delle emissioni climalteranti e degli impatti ambientali. Tanto tra 20 anni non ci sarà più nessuno dei responsabili attuali in carica a pagare per i miseri fallimenti della loro politica poco ambiziosa e accomodante. Peccato poi che, della fusione nucleare, sono decenni che si continui sempre a sentir dire che “mancano trent’anni”, ma poi non arriva mai: chissà perché.

È bene inoltre ricordare al ministro Cingolani, e anche e a chi lo influenza, che fior di esperti “neutrali” – cioè che non fanno ricerca sponsorizzata da gruppi industriali – tra cui un alto dirigente dell’Enea hanno recentemente fatto notare che si devono distinguere processi e sistemi che funzionano, sia naturali sia guidati dall’uomo, da quelli che non funzionano o lo fanno in “maniera casuale e non affidabile”, concludendo di essere molto scettici sulla realizzazione della fusione nucleare sul pianeta Terra, fusione che guarda caso a differenza della fissione non si verifica mai spontaneamente in natura.

Nessuno dei ciclopici esperimenti mondiali si è neanche lontanamente avvicinato a dimostrare che sia possibile l’innesco e il mantenimento del processo stabile di fusione: insomma, non esiste nessuna fusione controllata sulla Terra, né si ha la minima garanzia che si riuscirà mai a sfruttare il fenomeno delle stelle. Anche dalla mia esperienza ingegneristica, mi sento di dire che andare verso l’eccessiva complessità, se non addirittura contro le leggi della fisica, non è la strada giusta, o risulta comunque altamente antieconomico.

Mentre il ministro Cingolani si è nel frattempo tirato addosso vari strali e appelli di dimissioni nei suoi confronti, arrivatigli da più fronti, compresi gli ambientalisti da lui definiti radical chic, c’è solo da sperare che prendano sempre più piede, magari a partire dal basso, la società e l’economia della parsimonia di risorse e di energia, della riduzione degli enormi sprechi e dell’efficientamento in ogni settore, e che prevalga, ma anche qui con limiti e vincoli, la strategia delle energie rinnovabili, piccole e diffuse, i cui impatti peraltro non ci si illuda siano trascurabili, in termini ambientali, estrattivi, sociali e sull’ecosistema.

Cerchiamo almeno di limitare il nostro impatto e la nostra impronta ecologica, seppur ormai fuori controllo, e anche le boutade da certa scuola politica.

*Ingegnere, consulente di strategie aziendali e di sostenibilità, ecologista

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