Berlino ci dice che la speculazione immobiliare, che lascia migliaia e migliaia di alloggi vuoti in ognuna delle nostre città, non solo è insostenibile ma che la coesione sociale ne è minata, che il mercato immobiliare non può essere drogato attraverso il mantenimento soprattutto da grandi immobiliaristi di unità immobiliari sfitte.

Berlino ci dice, altresì, che i cittadini sono stufi di vivere nella precarietà abitativa e afflitti da canoni di locazione che incidono per il 30-40-50% sui redditi a loro volta derivanti da lavoro precario e malpagato.

Berlino ci dice, infine, che le città vetrina quelle piegate alla turistificazione alla finanziarizzazione selvaggia e senza regole non creano alcun sviluppo ma sono uno degli strumenti più efficaci di esclusione sociale.

Il referendum di Berlino anche se solo consultivo non potrà, ora, essere messo sotto il tappeto. Sappiamo già che il fronte politico e amministrativo nazionale e della stessa Berlino si è già affannato a comunicare che non intendono applicare l’indicazione di espropriare per pubblica utilità i patrimoni sfitti di grandi immobiliari che hanno oltre 3000 appartamenti sfitti. Si avete letto bene stiamo parlando di chi ha oltre 3000 appartamenti sfitti, un insulto all’etica e alla convivenza civile di chi colpevolmente lascia sfitto il proprio immenso patrimonio immobiliare ottenuto con la riunificazione delle due Germanie acquisendo immobili che erano pubblici.

Non è un caso che Cesare Ottolini, Coordinatore Globale dell’Alleanza Internazionale degli Abitanti e componente della Segreteria Nazionale Unione Inquilini, abbia commentato la vittoria del referendum affermando: “Si tratta di Vittoria Storica! La lotta del movimento per il diritto alla casa è maggioritaria, questa ora deve continuare per l’applicazione di questa decisione democratica per la ripubblicizzazione del settore abitativo a Berlino, in Germania e in tutta Europa. Il comitato “Deutsche Wohnen & Co enteignen” (“Espropriare Deutsche Wohnen”, colosso immobiliare tedesco), ha dichiarato “Vogliamo cacciare gli speculatori e gli squali da questa città”. La questione non investe ovviamente solo il colosso Deutsche Wohnen & Co perché la questione vede coinvolti anche altri colossi immobiliari quali Ado, Vonovia, Akelius e Covivio.

Infatti il referendum ha un obiettivo preciso espropriare oltre 200.000 unità immobiliare sfitte appartenenti alle grandi società immobiliari, escludendo dalla possibilità di esproprio le cooperative o altri soggetti senza scopo di lucro. Le società verrebbero indennizzate e le unità immobiliari trasferite a una società di diritto pubblico gestita attraverso principi di solidarietà e uguaglianza.

Non è una iniziativa incostituzionale perché la proposta di esproprio di immobili sfitti si basa sulla Costituzione tedesca che all’articolo 15 prevede l’esproprio se giustificato da ragioni di interesse pubblico.

Di contro la neosindaca di Berlino Franziska Giffey che sarà la prima, ad essere investita della questione si è dichiarata molto preoccupata e non felice di parlare di espropriazioni, non volendo che Berlino sia associata ad una politica di espropri di immobili di colossi speculativi. La stessa sindaca sa che dovrà fare i conti con la maggioranza dei cittadini che hanno detto Sì al referendum e ad un possibile partner di maggioranza come la Linke che a Berlino ha ottenuto un buon 14% alle elezioni amministrative.

Il risultato di Berlino parla anche a quanti in Italia: sindacati, movimenti di lotta, associazioni di volontariato, urbanisti e docenti universitari che agiscono sul tema del diritto all’abitare.

A Berlino le associazioni di abitanti hanno vinto perché hanno sostenuto una azione comune, unitaria, popolare. In Italia, il variegato mondo che lotta per il diritto all’abitare, tale momento di iniziativa comune, non lo ha ancora raggiunto, ne perseguito. Su questo aspetto una notizia arriva dalla conclusione recente del Congresso nazionale dell’Unione Inquilini che ha approvato un documento che impegna il sindacato alla costruzione di una “Coalizione nazionale per il diritto alla casa e all’abitare”, non una nuova struttura ma un luogo dove ogni realtà mantiene la propria autonomia ma realizza iniziative comuni e coordinate. Perché è del tutto evidente che le politiche abitative non sono nell’agenda politica nazionale e il variegato mondo dei soggetti impegnati nella lotta per l’abitare, ha bisogno di diventare una massa critica capace di incidere sulla politica nazionale e locale, altrimenti le generose lotte che pur ci sono in Italia resteranno fatti locali.

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