È stata assolta anche dalla corte di Assise di appello di Torino per legittima difesa la cinquantenne Silvia Rossetto, processata per avere ucciso il compagno il 2 settembre 2018 nel corso di una lite a Nichelino (Torino). L’uomo, Giuseppe Marcon, le aveva puntato un coltello alla gola, e lei ne aveva estratto un altro da un mobile della cucina. La procura aveva impugnato la sentenza di primo grado parlando di eccesso colposo, ma la corte ha dato ragione all’avvocato difensore Sergio Bersano. “Mi aspettavo la conferma dell’assoluzione – è il commento dell’avvocato difensore – anche perché la sentenza di primo grado del gup Stefano Vitelli era stata ampia ed estesamente argomentata”.

Sia Rossetto che Marcon soffrivano per disturbi di natura psicologica che, secondo un conoscente, “lei ammetteva di avere e lui non accettava”. Si erano conosciuti nel 2007 durante un periodo in cui erano ricoverati nella stessa comunità, e avevano iniziato una relazione che talvolta deflagrava in episodi di violenza fisica e verbale. Il 2 settembre 2018, nell’appartamento che la coppia divideva a Nichelino (Torino), c’è stato l’ultimo scontro: il litigio è iniziato al mattino, con una breve pausa durante la giornata. E’ ripreso quando l’uomo ha cominciato a bere (il tasso alcolemico rilevato dall’autopsia fu 1.3 grammi/litro) e a diventare aggressivo. Alle 18:27 la mamma di Silvia telefonò e sentì lui inveire e lei gridare “aiuto”. Quando la comunicazione si interruppe, chiamò i carabinieri.

Il racconto dell’imputata – che è rimasta in carcere fino alla prima assoluzione – secondo la ricostruzione riferita dall’agenzia Ansa, non è mai stato perfettamente lucido e coerente. C’erano dettagli che non combaciavano. Ed è per questo che la procura, pur accettando la linea della legittima difesa, aveva fatto ricorso in appello per eccesso colposo. “Ma non è immaginabile – ha replicato l’avvocato Bersano – che Rossetto, già malata e per giunta in preda a ‘un’ansia distruente’ perché picchiata e minacciata con un coltello da un uomo ubriaco che le aveva già usato violenza in passato, potesse valutare che forse il compagno non avrebbe affondato la lama”. Anche in appello ha ottenuto ragione.

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