Si è recentemente concluso il FestivalFilosofia di Modena-Carpi-Sassuolo che aveva a tema la libertà. Tanti i diversi punti di vista sviluppati dai relatori che tuttavia convergevano su un aspetto fondamentale. Una delle connotazioni del concetto di libertà starebbe nel superamento della propria valenza individuale che invece si è progressivamente imposta con la contemporaneità, fino a espungere da sé ogni accezione comunitaria. E nonostante il paradosso di una globalizzazione che stringe sempre più le maglie dell’interdipendenza tra gli individui, della quale la pandemia costituisce espressione emblematica. Quindi una interpretazione mutilata del significato di libertà che le Lezioni magistrali del Festival hanno saputo però ricondurre alla sua integrità originaria.

Forse l’immagine più efficace è stata fornita dall’intervento di Umberto Curi, che ha riproposto in conclusione della sua relazione il mito della caverna di Platone riletto da Heidegger. Il prigioniero, con le spalle rivolte all’uscita, e che riesce misteriosamente a liberarsi dalle catene, raggiunge la superficie illuminata dal sole e finalmente conosce la verità delle cose, che prima apparivano come ombre indistinte. Si potrebbe pensare che ora sia diventato uomo libero, ma invece no, perché vuole e deve ritornare nel fondo della caverna per portare la conoscenza ai suoi compagni. Non c’è uscita senza ritorno e non c’è libertà senza liberazione dell’altro, perché siamo tutti ontologicamente esseri-con, conclude Curi.

Non basta quindi evitare di compromettere la libertà altrui per dirsi liberi, come recita il leit-motiv pro-vax, bisogna fare molto di più. Per questo Donatella Di Cesare ha respinto fermamente che il rifiuto del vaccino possa rappresentare un gesto di libertà o addirittura ricadere nella disobbedienza civile, proprio perché privo di quella pre-condizione nobilitante che muove alla cura del prossimo più che alla propria. E allo scandalo ha gridato Michela Marzano contro il rischio di sperimentazione evocato dai no-vax, ricordando come il richiamo dei costituenti all’intangibilità della dignità umana rimandasse alle pratiche sperimentali del dottor Mengele nei lager nazisti. Altro che effetti collaterali di un vaccino che ha rispettato rigorosi protocolli procedurali e che rappresenta, per ricordarlo agli alternativi, l’unico preparato farmacologico di scuola omeopatica accolto dalla scienza occidentale.

Belle lezioni filosofiche su cui anche qualche filosofo dovrebbe ritornare a meditare. In discussione non è la libertas philosophandi di spinoziana memoria, invocata da Massimo Cacciari sui teleschermi e nello stesso Festival, che giustamente deve consentire a chiunque di argomentare su qualsiasi cosa. In questione è invece il rispetto della competenza disciplinare specifica quando si pone a fondamento del proprio pensiero non un legittimo postulato filosofico, ma un dato scientifico tutt’altro che consolidato e che anzi non trova conforto né da parte delle istituzioni scientifiche internazionali né dalla letteratura condivisa. È questa la contestazione.

Il riferimento è alla presunta insufficiente sicurezza del vaccino, o alternativamente del green pass, cui per altro si insiste nell’attribuire impropriamente l’aggettivo abnorme di sperimentale. Questo limite costituirebbe la ragione recondita per cui si rinuncerebbe all’obbligatorietà vaccinale in favore di un espediente transitorio dettato dall’eccezionalità, il green pass appunto, allo scopo di evitare una temeraria assunzione di responsabilità da parte dello Stato, che non saprebbe allora garantire costituzionalmente la dignità della persona obbligata a un trattamento sanitario troppo rischioso.

Lo scenario prefigurato diventa quindi lo scivolamento surrettizio dallo stato di emergenza a quello di eccezione, prodromico della disfatta della democrazia. Ma è la debolezza del fondamento posto a premessa di un’argomentazione “egoica” a renderla inconsistente, ed è proprio questa stessa riduttiva connotazione di libertà che farebbe fuggire senza voltarsi e a gambe levate il prigioniero una volta raggiunta l’uscita della caverna.

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