Dopo la furia francese dei giorni scorsi, si cerca di rimettere in moto la diplomazia. Joe Biden ed Emmanuel Macron si parleranno telefonicamente nelle prossime ore per cercare di superare il caso dei sottomarini a propulsione nucleare venduti all’Australia, stracciando un precedente accordo tra Canberra e Parigi. Al di là della diplomazia, resta però la nuova realtà degli equilibri geopolitici. Aukus, l’intesa trilaterale tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia, è il segnale di come oggi per Washington la questione cinese sia prioritaria. E di come, in nome di questa priorità, gli Stati Uniti siano disposti a trascurare vecchie e nuove alleanze e impegni.

La cessione di tecnologia nucleare per i sottomarini australiani non scontenta infatti soltanto la Francia, che perde un contratto da 56 miliardi di euro. Tra i delusi c’è sicuramente anche l’India, che era stata coinvolta da Washington nel Quad (Quadrilateral Security Dialogue), un’intesa tra Stati Uniti, Giappone, India e Australia che si delinea nell’ultima fase dell’amministrazione di George W. Bush e che, sin dall’inizio, era apparsa proprio come una risposta al crescente potere cinese nell’Oceano Indiano e nel Pacifico. Anche la definizione di “indo-pacifico”, tradizionalmente utilizzata in ambito geografico, inizia a essere particolarmente diffusa nel dibattito geopolitico americano a partire dagli anni dieci del Duemila. Da quando, cioè, la “minaccia cinese” si è fatta per gli Stati Uniti sempre più impellente.

Il Quad non ha però avuto gli effetti che gli Stati Uniti speravano. Nonostante una serie di questioni ancora aperte – i rapporti della Cina con il Pakistan, il sostegno finanziario cinese ai gruppi separatisti nell’India settentrionale, le schermaglie militari al confine nel 2020 – Pechino e New Delhi mantengono rapporti solidi: la Cina è infatti il maggior partner commerciale dell’India. L’obiettivo degli Usa di allentare e quindi minare i rapporti indo-cinesi si è rivelato illusorio, così come estremamente complicato si è dimostrato il tentativo di limitare l’influenza cinese nella regione. In questo contesto – per l’appunto, di insoddisfazione e incertezza americana nell’area – nasce Aukus.

Anzitutto, bisogna capire cosa ha condotto gli Stati Uniti a compiere un atto così eccezionale come mettere a disposizione di Canberra la sua tecnologia nucleare (l’Australia sarà infatti il secondo Paese, dopo la Gran Bretagna, a ricevere questo trattamento privilegiato). Negli ultimi anni, Australia e Cina sono state impegnate in una guerra commerciale e diplomatica senza esclusione di colpi. Pechino ha imposto tariffe elevatissime all’industria del vino e dell’orzo australiana e ha messo una serie di restrizioni alle esportazioni australiane di legname, manzo e cotone. Da parte sua, Canberra ha escluso Huawei dalla possibilità di concorrere per la costruzione delle infrastrutture del 5G e ha posto il veto al coinvolgimento cinese nella “Belt and Road initiative” nello stato di Victoria. Hacker cinesi sono considerati responsabili dell’attacco al Parlamento australiano del 2019 e l’intelligence australiana ha denunciato una vasta opera di spionaggio da parte di Pechino. Gli australiani si sono poi dimostrati molto duri nella ricerca delle responsabilità cinesi nella diffusione della pandemia.

Alle questioni commerciali e diplomatiche, si sono aggiunte anche quelle più precisamente militari. In risposta al rapido allargamento della forza navale cinese, l’Australia negli ultimi cinque anni ha aumentato la sua spesa militare. Nel luglio 2020 il primo ministro Scott Morrison ha annunciato una spesa di 186,5 miliardi di dollari in dieci anni per modernizzare l’apparato aereo e soprattutto navale del Paese (un aumento della spesa militare del 40%). È tutto questo che dunque spiega le ragioni di un accordo che ha preso di sorpresa molte cancellerie internazionali ma che è tutt’altro che sorprendente. Con Aukus, l’Australia lega il proprio destino all’alleato americano, in un momento di forti tensioni con la Cina. L’accordo non soltanto consente a Canberra di ricevere preziosa tecnologia militare, ma coinvolge gli Stati Uniti, come mai prima, nella competizione regionale.

Per gli Usa sono altrettanto chiare le ragioni del trattamento privilegiato concesso all’Australia. Canberra è infatti diventata, come hanno rilevato alcuni commentatori di recente, “il canarino nelle miniere di carbone” dell’area indo-pacifica. In altre parole, attraverso l’alleanza militare con l’Australia, gli Stati Uniti innalzano il livello di confronto con la Cina. Allo stesso tempo valutano la volontà cinese di approfondire lo scontro e lanciano un segnale ad altri possibili partner. La speranza americana è infatti di coalizzare in una possibile alleanza anti-cinese altri Paesi dell’area – Filippine, Corea del Sud, Singapore -, isolando Pechino e minandone la potenza commerciale. Si tratta, per gli Stati Uniti, di una scommessa rischiosa. Da un lato, l’attrattiva commerciale della Cina resta formidabile. Dall’altro, almeno per ora, l’Aukus ha avuto solo l’effetto di far infuriare, o indispettire, tutti coloro che ne sono rimasti esclusi: la Francia anzitutto, ma anche l’Unione europea, l’India, il Giappone, la Nuova Zelanda e il Canada. La nuova “guerra fredda” che gli Stati Uniti sono pronti a ingaggiare con Pechino – almeno sul piano diplomatico, commerciale e dell’intelligence – rischia dunque di incrinare il sistema di relazioni presieduto proprio dagli Stati Uniti a partire dal secondo conflitto mondiale.

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