Fa registrare un -38% il numero degli iscritti al primo anno nelle facoltà di Giurisprudenza italiane. Un dato che, da solo, basta a confutare l’esigenza del ricorso al numero chiuso. Rilevante anche il dato riguardante l’intero corso di studi: dall’11,1% si è scesi al 7,2%.

Studiare giurisprudenza interessa a un numero sempre minore di giovani? Così sembrerebbe stando ai numeri. A ciò si aggiunge una qualità in uscita drammaticamente scadente con troppi neolaureati incapaci di rispondere alle domande di un settore legale in evoluzione, che richiede sempre di più la presenza di nuove figure professionali. Sembrerebbe trovare riscontro, dunque, l’ipotesi che il mercato del lavoro legale sia saturo. Soprattutto a fronte di una lettura, forse fin troppo superficiale, sul numero degli avvocati.

Se, da una parte, l’Avvocatura ha rappresentato per molti una professione a cui guardare come una sorta di ammortizzatore sociale, dato il blocco del turn over nella Pa, dall’altra, occorre sfatare un mito perché non sono troppi i laureati in giurisprudenza rispetto alle attuali possibilità di inserimento che il mercato offre loro.
In realtà sono troppo pochi i neolaureati attrezzati e predisposti a entrare in un mercato del lavoro diverso da come se lo immaginavano all’inizio del percorso di studi. In Europa si parla di professione legale 4.0, perché l’impiego giuridico deve essere percepito con una nuova consapevolezza.

Si pensi, per esempio, agli smart contracts, alle identità digitali, al cyber crime. Si richiede al laureato in giurisprudenza saperi assai distanti dal radar accademico-didattico di numerosi atenei italiani. A fine laurea, gli studenti rischiano di trovarsi poco specializzati, perché reduci da uno studio mnemonico di norme e codici, a fronte di tipologie di esami che a volte sembrano modellati proprio per incentivare questo tipo di approccio allo studio, solo teorico e manualistico, con tempi dello studio marcatamente professore-centrici, dove sono totalmente assenti le discipline logiche, storiche e delle scienze umane come le sociologie.

L’acquisizione di tasks e procedure – che nella mente dello studente dovranno essere apprese e messe in pratica in un futuro piuttosto remoto – rimane sfavorita. Troppi i corsi di laurea che puntano sulla preparazione normativa manualistica tradizionale, poco sensibili alle esigenze pratiche del futuro giurista, che dovrà imparare a saper negoziare col lessico giuridico di lingue straniere, a comunicare con efficacia, a delegare, ad assumere responsabilità decisionali e a dare il feedback. Limitarsi dunque al binomio avvocatura-tribunale può rendere il mercato del lavoro legale più saturo di quel che sembra. Le facoltà dovranno preparare i loro studenti all’eventualità di decidere di volersi allontanare dalle carriere giuridiche tradizionali.

L’applicazione del diritto in aree nuove vede tra le rivoluzioni che il mondo legale sta conoscendo, prima tra tutte, quella del processo telematico. Ai neo-giuristi si chiede, infatti, dimestichezza con le nuove modalità di deposito dei ricorsi in quel settore. In questo quadro si inserisce, con la riforma Cartabia, l’”Ufficio del Processo” a cui sembrano guardare con grande interesse, come approdo, molti avvocati insoddisfatti della propria condizione professionale e della marginalizzazione economica a cui è soggetta. Si parla, non a caso di “fuga dalla professione forense” che, se realizzata davvero, concretizzerebbe, in un colpo solo, il sogno di chi vede nel numero degli avvocati la causa unica del carico della giustizia.

Ma lo scenario dell’”Ufficio del Processo” comincia già a mostrare una serie di debolezze. Non è dato sapere quali saranno “davvero” i compiti e l’organizzazione di tale “Ufficio”, in che modo si collocherà nel rapporto tra i magistrati e la cancelleria e se sovrascriverà l’attuale presenza dei tirocinanti, dei quali, del resto sembra proprio ricalcare le attività. Sarebbe stato opportuno, viceversa, indicarne sin da subito, con apposite linee guida, il corretto funzionamento e, per evitare sovrapposizioni di ruoli e mansioni, affidare il coordinamento dei funzionari, in relazione all’effettivo carico del Distretto, al Consiglio Giudiziario, sottraendo gli stessi alla signoria del singolo magistrato. Inevitabile la conclusione che, per svolgere tale mansione, non occorra una laurea magistrale né tantomeno ulteriori titoli iper-qualificanti post-laurea. Sarebbe bastato potenziare la laurea triennale in scienze giuridiche per la formazione dei futuri paralegal.

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