Cinema

Festival di Venezia 2021, L’événement è il film sull’aborto che farà discutere (e che ha fatto piangere anche i giornalisti)

Un’opera al cui centro è posta in ogni inquadratura, dal primo all’ultimo minuto, la 20enne Anne (Anamaria Vartolomei), una studentessa universitaria che scopre di essere incinta e per questo vuole a tutti i costi interrompere la gravidanza nel 1963 quando in Francia era reato

di Davide Turrini

Al Festival di Venezia è il giorno del film che dividerà. All’uscita dalla prima proiezione per la stampa si sono viste persone piangere, tirate in volto, sconvolte. Colpa, o merito, di L’événement, film francese in Concorso della sceneggiatrice, qui regista al secondo film, Audrey Diwan. Un’opera al cui centro è posta in ogni inquadratura, dal primo all’ultimo minuto, la 20enne Anne (Anamaria Vartolomei), una studentessa universitaria che scopre di essere incinta e per questo vuole a tutti i costi abortire. Una scelta umanamente complessa e difficile, ma oggi praticabile senza grossi rischi di salute. Solo che la storia di Anne va retrodatata un tantino, giusto quei cinquant’anni fa, nel 1963, in piena epoca conservatrice gollista, ma anche di Sartre e Camus, che nel film però vagolano anonimi nei discorsi delle studentesse di lettere compagne della protagonista. Anni in cui l’aborto era ancora punito per legge con la prigione. Per questo, dopo poche sequenze per tratteggiare contesto ambientale e sociale (un campus universitario piuttosto chiuso con camerate divise tra uomini e donne), qualche coordinata caratteriale dei singoli (Anne è molto silenziosa ma determinata in tutto, soprattutto nel vivere una vita indipendente e studiare per diventare insegnante o scrittrice) e amicale/familiare, ecco che nel chiacchiericcio tra amiche sulla “prima volta” (che nessuna avrebbe mai ancora affrontato), e dopo una serata molto sobria nel bar/discoteca del campus dove gli ormoni maschili girano a mille ma le ragazze rimangono contenute, sul grugno dello spettatore viene spiattellata una sentenza: Anne non ha le mestruazioni da un po’ e sicuramente è incinta.

Ed è proprio il caso di dire che a quel punto il mondo che abitava fino a quel momento le gira le spalle chiudendola in una trappola senza via d’uscita. Un’agnizione narrativa verticale che tempo una decina di minuti di racconto assume subito un senso di evidente terrore e isolamento psicologico per la protagonista. Tutti, ma proprio tutti, evitano la richiesta di aiuto che Anne pone in gran segreto: come posso abortire? Le amiche le stanno lontano, gli amici prima sbavanti partner girano improvvisamente larghi, i medici che la visitano le urlano improperi al solo sentire il termine “aborto” e uno addirittura la prende per i fondelli prescrivendole un farmaco rinforzante per il feto spacciandolo per un medicinale che la farebbe mestruare. Anne è sola, non può fare affidamento su nessuno, cerca perfino di staccare il feto usando un bastone di metallo ma senza risultato, fino a quando un compagno di università le suggerisce un contatto tramite un’amica per abortire in una casa privata, da una signora con ferri e divaricatore sterilizzati sul fornello del gas.

Diwan dirige con mano sicura il dramma interiore della protagonista optando per una macchina da presa dardennianamente intrusiva e prossima al corpo e al viso di Anne, percependone il respiro, l’inquietudine, il dolore fisico sommesso gridato a mezza bocca per non farsi sentire da nessuno; ma anche filmando con oculati e realistici fuori vista il tentativo di aborto fai da te, quello nella casa privata, ma soprattutto l’espulsione finale del feto nei bagni del campus. Non c’è pornografia o spettacolarizzazione in questa scelta stilistica radicale (robusta anche la sensazione di apprensione trasmessa dal soundtrack di Euvegni e Sacha Galperine), anzi c’è proprio la finalità di percepire la dimensione carnale, anatomica, dell’aborto in tutta la sua terribile autenticità di scelta esistenziale. Anne è sempre in scena e questo suo tentativo ossessivo e totale di rifiutare la maternità per potere essere libera di scegliere il suo destino, trasmette in ultima istanza un senso di inseguita liberazione simbolica da ogni costrizione istituzionale sul corpo della donna e in maniera più ampia e larga sul corpo di ogni individuo ben oltre il periodo storico esaminato (in Francia l’aborto verrà legalizzato nel 1975 ndr). L’evenement, che in Italia uscirà a fine ottobre distribuito da Europictures, farà discutere assai. E Anamaria Vartolomei, in quei primi piani senza trucco, impaurita, ritratta, terrorizzata dal rifiuto di un aiuto del prossimo, è di una forza drammaturgica semplicemente dirompente.

Foto dal sito della Biennale – Cinema

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