Nel giorno in cui viene formalizzato che il completamento del Mose slitterà di (almeno) altri due anni e che il costo dell’opera (come ampiamente anticipato da ilfattoquotidiano.it) arriva a 6,5 miliardi di euro, il commissario straordinario sblocca-cantieri mette a segno un bel colpo. In un primo tempo l’architetto Elisabetta Spitz aveva chiesto l’accantonamento di 53 milioni di euro per effettuare i lavori alle bocche di porto e il primo avviamento. Ne ottiene il doppio: quasi 110 milioni grazie alla firma del Settimo Atto aggiuntivo, l’accordo tra il Ministero delle Infrastrutture e il Consorzio Venezia Nuova ormai in liquidazione che dovrebbe consentire la conclusione di questa opera costosissima, ma ancora incompiuta.

In palio c’era una posta da 538 milioni di euro, recuperati dalle pieghe dei tassi d’interesse risparmiati in un lunghissimo arco di tempo. I criteri di distribuzione sono costati il posto a Cinzia Zincone, il provveditore alle Opere pubbliche del Triveneto che è stata sottoposta a procedimento disciplinare e sospesa alcune settimane fa a causa di un paio di interviste in cui metteva in discussione l’efficienza della Spitz, visto che i cantieri, anziché accelerare, si sono fermati. Inoltre, Zincone avrebbe voluto una distribuzione più equilibrata delle risorse, che contemperasse l’esigenza di finire il Mose e gli interventi di mitigazione ambientale. Ma soprattutto aveva contestato che il 10 per cento di quel mezzo miliardo di euro fosse accantonato per il Consorzio e i suoi interventi alle bocche di porto.

Il provveditore è stato sostituito ad interim da Fabio Riva, che è anche provveditore in Lombardia, Emilia, Piemonte, Valle D’Aosta e Liguria. Il Comitato Tecnico amministrativo del Provveditorato si è riunito sotto la regia della direttrice generale delle Infrastrutture, Ilaria Bramezza. L’architetto Spitz è riuscita ad ottenere molto più di quello che aveva chiesto, d’intesa con Massimo Miani, il commercialista nominato liquidatore del Consorzio Venezia Nuova. Non il 10 per cento, ma il doppio, un 20 per cento di accantonamento che vale 110 milioni di euro. La parolina magica inserita nel 7. Atto Aggiuntivo è “rimodulazione”, riferita alla destinazione degli interventi, così come erano stati indicati dal Cipess a giugno quando erano stati sbloccati i 538 milioni di euro. La revisione dei criteri ha lo scopo di “aumentare gli stanziamenti destinati alle opere relative al Sistema Elettromeccanico Mose” con la “contestuale riduzione di quelli destinati agli ulteriori interventi”. In parole povere: prima ci si dedica alle paratoie, poi all’ambiente. Anche perché sono stati ribaditi due punti fermi di questa revisione delle priorità. Innanzitutto “finire l’opera” e poi aggiornare le “forme di anticipazione e remunerazione in favore del Consorzio Venezia Nuova”, anche per “scongiurare situazioni di tensione economico-finanziaria come quella che si è da ultimo registrata”.

Il riferimento è ai 200 milioni di debiti del Consorzio che hanno portato all’apertura di una procedura di concordato preventivo. I soldi in arrivo dovrebbero sbloccare i cantieri. Ma i cantieri non si sbloccano se le imprese, che attendono circa 20 milioni di euro di pagamenti arretrati, non verranno soddisfatte. Però i soldi dello Stato non possono ripianare i debiti, a causa delle norme Ue. Lo hanno ricordato anche i giudici che a giugno hanno respinto il piano di ristrutturazione del debito presentato da Miani: “Il Ministero delle Infrastrutture ha dichiarato l’impossibilità di utilizzare i fondi distribuiti al Mose per il ripianamento della esposizione debitoria, pena la violazione del divieto unionale di aiuti di Stato”. Si apre adesso una partita delicata per convincere le imprese a ripartire e a garantire il sollevamento del Mose quando arriveranno le acque alte di autunno e inverno. Soltanto dal momento di riavvio dei cantieri scatterà il nuovo cronoprogramma di almeno 24 mesi per concludere il Mose. Il fine-opera era fissato al 31 dicembre 2021, adesso slitta in avanti di due anni, anche se servirà un tempo maggiore per una parte degli interventi (fino al 2025).

L’atto aggiuntivo ha messo nero su bianco i costi e la suddivisione dei soldi. Al costo del Mose già indicato in 5 miliardi 484 milioni di euro, si aggiungono 100 milioni per la prima fase di avviamento, i 538 milioni del Cipess e 377 milioni di rimborsi degli interessi dei mutui. Come saranno spesi i milioni per le opere mancanti? Serviranno 45 milioni per le opere civili e marittime alle tre bocche di porto (24 milioni solo a Malamocco), 29 milioni per gli impianti, 21 milioni per i mezzi speciali di manutenzione, 69 milioni per i ripristini e la soluzione delle criticità. Per le manutenzioni conservative e l’avviamento serviranno 112 milioni di euro. E la parte ambientale? Sono 148 i milioni destinati al Piano Europa (voluto dalla Ue) e una quarantina quelli per gli interventi in laguna.

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