Altra tegola sull’industria alle prese con una forte ripresa della domanda da un lato ma anche con rallentamenti delle forniture e rincari delle materie prime dall’altro. L’alluminio ha ormai raggiunto il valore più alto da 10 anni superando i 2.700 dollari a tonnellata. A spingere le quotazioni sono in questa fase soprattutto i problemi sul lato dell’offerta, dopo che la regione cinese del Guangxi ha introdotto delle limitazioni all’utilizzo di energia. Qui ogni mese vengono prodotte circa 925mila tonnellate di alluminio, con le nuove imposizioni la produzione dovrebbe diminuire di un quinto. La trasformazione dell’allumino, da bauxite ad alumina e poi alluminio, è un processo estremamente dispendioso in termini energetici. Se i costi dell’elettricità salgono aumenta anche il costo dell’alluminio. A questo punto la Cina, grande consumatrice di metalli, non è più esportatrice ma importatrice di questo prodotto. Pechino ha annunciato che da oggi immetterà sul mercato 70mila tonnellate di alluminio attingendo alle sue riserve.

Nell’ultimo anno le quotazioni del gigante dell’alluminio Alcoa sono quasi triplicate, quelle di Glencore, il più grande trader di metalli al mondo, quasi raddoppiate. La banca d’affari Goldman Sachs, non di rado direttamente attiva negli strumenti finanziari legati alle materie prime, ha alzato le sue stime a 12 mesi sul prezzo dell’alluminio portandole a 3200 dollari la tonnellata. Si tratta di un incremento del 18% rispetto alla stime precedente. La banca ha rialzato anche le sue previsioni per il rame a 11.500 dollari, il nichel a 24.000 e lo zinco a 3.300 dollari. Goldman Sachs ha evidenziato come le tensioni sul lato dell’offerta sono così forti da superare i timori macro derivanti dalla diffusione della variante Delta e dal ‘tapering’ (la riduzione degli acquisti di titoli e quindi una stretta monetaria, ndr) da parte della Federal Reserve.

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