Gino Strada è la dimostrazione, come tanti grandi personaggi della nostra storia, che più si è grandi e più è difficile per noi definirne la grandezza. Quando la grandezza la si riduce a “prestazioni” si rischia di specializzarla solo in alcuni significati ma perdendo il suo senso profondo. Per questo non sono d’accordo con chi ha definito Gino Strada un filantropo. Certo che per quello che faceva implicitamente lo era, ma egli sul campo non era solo un generico benefattore come se fosse parificabile al “terzo settore” o alle gloriose “misericordie” toscane, e meno che mai era uno che operava “alla luce di un umanitarismo vagamente religioso o filosofico”. Era tutt’altro e molto di più.

Come ritengo parziale quella lettura, pur giusta e condivisibile, che riduce la lezione di Gino Strada alla difesa dei diritti. Certo che Gino Strada difendeva i diritti, quindi i più deboli, ma in questa difesa affermava una certa idea di giustizia, una certa concezione del mondo, un certo ideale di convivenza umana, una certa idea di pace e soprattutto, essendo medico, una certa idea di scienza e di medicina.

Oggi in tanti, soprattutto in sanità e in medicina, difendono a parole i diritti. Anche Speranza, cioè il Pnrr del governo (missione 6), dice di difendere i diritti ma Gino Strada, vi assicuro, non avrebbe mai accettato di difendere i diritti degli anziani, dei non autosufficienti, dei disabili, dei malati in genere con gli appalti al privato o al terzo settore. Per questo dico, a chi ringrazia Gino Strada per la lezione avuta sui diritti, che non ha senso ringraziarlo e tollerare più o meno in modo compiacente forme subdole o meno subdole di privatizzazione della sanità pubblica. Il diritto alla salute, senza lo Stato che lo garantisce, è di fatto sostituito dal reddito, dalla beneficenza o dal volontariato.

La figura che per tante ragioni più si avvicina a Gino Strada è Albert Schweitzer, anche lui medico a sua volta pacifista (gli fu assegnato il premio Nobel per la pace nel 1952 mentre a Gino Strada fu assegnato nel 2005 il Right Livelihood, il Nobel alternativo); ma anche Schweitzer non può essere considerato solo un filantropo o un semplice difensore dei diritti o più banalmente una espressione del terzo settore. Ma per tante ragioni è molto molto di più.

Personalmente ho incontrato e conosciuto Gino in tante occasioni e la cosa che più mi colpiva quando parlavamo delle nostre cose era il suo considerare la medicina come un terreno nel quale unire i nostri ideali laici, le nostre prassi, con la realtà per quella che era. La forza del pensiero di Gino Strada (che non era un pensatore) era la prassi. Basta rileggersi Pappagalli verdi – cronache di un chirurgo di guerra (1999) per cogliere in Gino Strada il valore enorme che per lui ha la prassi e che Moni Ovadia nella sua prefazione coglie in pieno, mettendo insieme la “necessità di fare” e il “dovere di fare”, cioè il valore indiscutibile di ciò che secondo coscienza andrebbe fatto.

La nascita di Emergency nel ’94, associazione indipendente nata primariamente per portare cure medico-chirurgiche alle vittime delle guerre, delle mine antiuomo e della povertà, è il mettere in campo delle prassi mediche organizzate in modo volontario con lo scopo certo di aiutare le persone ma soprattutto di contrastare la guerra, l’ingiustizia, la sopraffazione nel mondo e affermare la pace. La medicina per Gino Strada è sempre stata prima di tutto uno strumento di pace.

Come è noto Gino Strada, uomo indiscutibilmente di sinistra, disapprovava soprattutto in sanità i comportamenti ambigui della sinistra di governo (non è mai stato d’accordo né con la riforma del titolo V e meno che mai con l’istituzione delle aziende in sanità e più che mai con la privatizzazione della sanità pubblica). Per molti anni si rifiutò di votare come se fosse politicamente disimpegnato con l’unica eccezione nel 2014 quando dichiarò di sostenere la coalizione italiana di sinistra L’Altra Europa con Tsipras.

Ma non era uno dell’antipolitica; esattamente il contrario. La sua prassi professionale era sempre un atto politico “meta”, che soprattutto alla politica in generale e alla sinistra in particolare diceva cosa si doveva “fare” per essere davvero “politica” e essere davvero “sinistra”. Per questo egli era comunque un personaggio scomodo e i suoi interventi in televisione sulla sanità mettevano a disagio prima di tutti proprio gli amministratori di sinistra, deformati dalle tante tentazioni neoliberiste di questi anni.

Ci sarebbero tante altre cose da dire su Gino Strada, ma l’ultima considerazione che voglio fare riguarda la sua idea di medicina. La medicina, per lui, era ovviamente una scienza; ma non era mai solo scienza, era molto di più. Era, come nel mito di Prometeo, una specie di mediazione politica tra finitudine e salvezza, cioè una possibilità accordata – una volta dagli Dei all’umanità, ora dalla scienza – di rimediare comunque alla propria condizione di vulnerabilità. Ma soprattutto di rimediare alla vulnerabilità creata dalla guerra.

Gino Strada, e credo che in questo consista la grandezza della sua opera di fatto, reinterpreta e trasferisce questa mediazione ancestrale e paradigmatica nel mondo della guerra, delle ingiustizie, della sopraffazione, cioè usandola contro le crudeltà del nostro tempo. Il problema per Gino Strada era quello di sopravvivere agli effetti disumani dell’insensatezza moderna dell’uomo rappresentata prima di tutto dalla guerra, dalla violenza e dalla sopraffazione.

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