A inizio estate, la campagna elettorale tedesca sembrava già decisa. La Cdu aveva riconosciuto l’ineluttabilità di accelerare i tempi per arrivare all’obiettivo delle zero emissioni. Dopo aver varato già da tempo l’abbandono del nucleare, aveva sottoscritto anche la fine del carbone e appoggiato il progressivo declino del motore a scoppio a favore di quello elettrico. Tutto portava a un tandem con i Verdi, in inarrestabile ascesa a secondo partito, sulla falsariga di quanto già accade nella vicina Austria. Adesso, quando manca poco più di un mese alle elezioni federali del 26 settembre che segneranno la fine dell’era Merkel, nulla sembra più certo.

L’hype per i Verdi è calato, nonostante i tedeschi abbiano toccato con mano le conseguenze delle errate politiche ambientali con le recenti alluvioni. Lo stesso leader della Cdu, Armin Laschet, ipotetico successore di Angela Merkel, ha perso di appeal. Le preferenze maggiori come futuro cancelliere le raccoglie a sorpresa Olaf Scholz, candidato di una Spd improvvisamente rinvigorita nei sondaggi: è al 21% secondo l’ultimo sondaggio di Forsa, appena due punti dietro la Cdu e davanti ai Verdi, calati al 19%. La Cdu resta in testa (per Insa è ancora al 25%), ma continua a calare, mentre i liberali della Fdp per contraltare salgono al 12%. L’ultradestra della AfD, comunque esclusa da qualsiasi coalizione con gli altri partiti, si ferma al 10% e la Linke con il 7% lotta per non uscire dal Bundestag.

Armin Laschet, dopo aver vinto la lotta intestina all’Unione, si è rivelato poco carismatico ed è apparso del tutto inopportuno quando ha riso alle spalle di Frank-Walter Steinmeier mentre il presidente federale esprimeva cordoglio per le vittime dell’alluvione. Rappresenterebbe la continuità con Angela Merkel, ma per molti nel suo stesso elettorato non è il candidato migliore e avrebbero piuttosto appoggiato il più istrionico Markus Söder, il governatore della Baviera. Col precipitare della situazione in Afghanistan, inoltre, Laschet è chiamato a giocare sulla difensiva, rintuzzando le paure che si possano ripetere afflussi di profughi incontrollati come nel 2015 (anche se sono situazioni diverse, allora i migranti premevano già ai confini con l’Austria).

Annalena Baerbock non se la passa meglio: la leader dei Verdi è stata d’altronde presa di mira fin dall’inizio della campagna elettorale, perché la Cdu/Csu ha annusato il pericolo del sorpasso del partito ambientalista e non ha perso occasione per sottolineare la giovane età e l’inesperienza della candidata, anche se Baerbock ha sulle spalle una brillante carriera politica. C’è stata anche la campagna contro i Verdi della ditta Conservare Communication GmbH di Amburgo, il cui titolare David Bendels, ex Csu, è oggi indicato come vicino alla AfD. Non è stata l’unica: anche l’organizzazione “Initiative Neue Marktwirtschaft” (INSM), finanziata dall’associazione dei datori di lavoro dell’industria metallica ed elettrica, ha organizzato una campagna anti- Verdi. Peraltro, la Baerbock si è pure penalizzata da sola con sviste nel curriculum e dando spazio ad accuse di plagio. Non è neppure escluso che i suoi stessi elettori non abbiano del tutto apprezzato il suo arrivismo nel marcare le differenze rispetto al co-leader di partito, Robert Habeck.

Olaf Scholz, invece, per lungo tempo ha evitato di attaccare direttamente gli avversari. È rimasto in disparte, ha usato toni pacati e suadenti. Gode del prestigio guadagnato come vicecancelliere, appare come uomo del fare che ha trattato la tassazione alle grosse imprese multinazionali, che ha assicurato i fondi per la ricostruzione dopo l’alluvione. Così è riuscito a rianimare i socialdemocratici, che ora sono nuovamente della partita. Le percentuali sulle intenzioni di voto raccolte negli attuali sondaggi non danno più spazio a una Grosse Koalition, ma nemmeno a un’allenza Cdu-Verdi. Si delineano come possibili solo coalizioni tripartitiche: i numeri più forti li avrebbe una alleanza tra Unione, Spd e Verdi. Un’altra opzione è la Giamaika Koalition: Cdu/Csu, Verdi e Fdp. Infine, c’è l’opzione battezzata Deutschland Koalition con Unione, Spd e Fdp.

Anche se sono formule in parte già sperimentate a livello locale, è difficile immaginarsi che nessuna di questa possa essere varata a Berlino senza scossoni. La Cdu ha apertamente dichiarato che non pensa a nuove imposte ma non immagina neppure sgravi fiscali. Il segretario della Fdp Christian Lindner (che aspira a ottenere il ministero delle Finanze) ha affermato invece che i liberali ritengono si possa far guadagnare competitività alle imprese solo riducendo gli oneri fiscali. Dall’altro lato sia la Spd che i Verdi perorano l’introduzione di un’imposta patrimoniale per recuperare i costi della pandemia. Inoltre, i Verdi vogliono raggiungere le emissioni zero con misure decise – anche se non abbastanza radicali per i giovani del movimento Friday for future – tra cui un ministero dell’Ambiente che possa bloccare tutte le leggi incompatibili con la Convenzione di Parigi e un abbandono del carbone anticipato di otto anni al 2030. Idee assolutamente troppo drastiche per gli altri partiti. I liberali e la Cdu, ad esempio, escludono addirittura l’introduzione di limiti di velocità e il divieto dei motori a benzina e diesel.
In questa costellazione di partiti e posizione, il post-elezioni in Germania non garantirà equilibri veloci, anche se la disciplina tedesca ci ha abituato che una volta raggiunti, nonostante tutto sono duraturi.

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