“Discutere […] del significato dell’oscenità è difficile quasi quanto parlare di Dio”. Così scriveva Henry Miller e, mai quanto in tempi odierni, l’assioma è valido. Pensiamo a come si parla di porno oggi, argomento solo formalmente, quanto ipocritamente, sdoganato nei salotti televisivi mid-cult o su alcuni media italiani, soprattutto dopo la morte di santa Moana Pozzi accettata e dibattuta in tv da persone che probabilmente non hanno mai visto un suo film a luci rosse. Insomma, cos’è davvero il porno andava chiarito una volta per tutte.

Ci ha pensato Pietro Adamo con il suo definitivo (in realtà nulla è mai definitivo…) saggio fresco di stampa Hard Core: Istruzioni per l’uso (Mimesis, 2021). Adamo, docente di Storia delle dottrine politiche all’Università di Torino, già autore de Il porno di massa (Cortina, 2004) e studioso della cultura politica del protestantesimo radicale e, più in generale, della tradizione libertaria e del percorso delle controculture, già nell’introduzione ci fa sapere delle difficoltà incontrate nel mondo accademico per il suo voler trattare questo tema. Perché? “Perché – come scriveva già nel 1901 George Simmel, uno dei fondatori della sociologia moderna – ogni violazione di questa sfera […] viene avvertita come una rottura tra la norma della personalità e la sua condizione momentanea”.

Scendendo di parecchi gradini, basti pensare al perché chi va a vedere un film porno (o ne parla con gli amici), a meno che non sia un addetto ai lavori, ride o sorride (ovviamente a nascondere il proprio imbarazzo). Ma che c’è da ridere in un film hard? Se voglio ridere vado a vedere Totò, non le evoluzioni sessuali di Tom Byron.

Nella prima parte del libro, Adamo, dopo aver analizzato cos’è “il pornografico” e i suoi, ormai storici, rapporti con la controcultura, affronta il tema di alcuni registi d’élite che al porno si sono avvicinati parecchio, fino a sfiorarlo se non a gestirlo: da Russ Meyer, il papà della sexploitation americana, al regista polacco Valerian Borowczyk con la sua pornografia surreale (pensiamo ai Racconti immorali del 1974 dove affronta, a modo suo, persino la biografia dei Borgia); al discusso film a luci a rosse che vede protagonista di una scena un mito come Jimi Hendrix; a fenomeni di massa come Deep Throat (’72) di Gerard Damiano, un regista “infestato”, in altri suoi film, da inconsce turbe cattoliche; dai fratelli Mitchell pornoregisti californiani anni ’70 e di altri due fratelli, Emilio Estevez e Charlie Sheen, che al cinema, nel 2000, ne hanno affrontato la storia con X-Rated; ai remake in salsa porno dei film di Alfred Hitchcock da parte del francese Jean-Claude Roy, in arte Patrick Aubin; al porno di Abel Ferrara (firmato Jimmy Boy L.) Through the Looking Glass “la cronaca di una discesa nella follia che si chiude su un incubo visivo (narrativamente un’entrata all’inferno) che ricorda le più straniate geometrie compositive dell’avanguardia antirealista europea, da Bosch a Bacon”, o del suo controverso Nine Lives, ma anche di registi come di Wes Craven, William Lusting o Mario Van Peebles, tutti “praticanti” del porno prima di accedere al cinema “alto”. O di star hollywoodiane come Sylvester Stallone.

E si dibatte anche di un hard di Francis Ford Coppola che potrebbe anche essere una leggenda metropolitana come quella degli snuff movies dove il porno si concluderebbe con l’uccisione reale dell’attrice/attore, “la principale leggenda urbana del porno, tanto apprezzata negli ambienti conservatori che reiterano da mezzo secolo l’argomento nonostante nessuno sia riuscito a vederne uno”. E aggiungerei (Adamo non ne parla) gli inizi d’avanguardia cinefila di Tinto Brass divenuto nell’immaginario collettivo una sorta di porn-maker, ruolo affibbiatogli senza il suo consenso, nonostante i suoi film – dallo splendido La Chiave (per altro tratto da un racconto di Jun’ichirō Tanizaki) in avanti – l’hard lo sfiorino eccome (il Maestro veneziano ha sempre affermato di aver utilizzato falli finti; le vagine, però, sono verissime e ben in mostra…).

E ancora, tornando al libro di Adamo, il ruolo dei fumetti erotici e il gay-porn, oltre a una divertente disquisizione sui “corpi antichi: le gioie del sesso dopo gli anta” per concludere con Brazzers.com, “celebrazione in discreto stile di big tits, big asses e naturalmente big cocks”, ovvero “‘il tutto enorme‘ il cui filo conduttore, più o meno inconscio, potrebbe essere la ricerca di grandezza di una certa America, quella dei Reagan e dei Bush, dei fondamentalisti della Baptist Southern Convention e dei predicatori tele-evangelici”.

Insomma, per conoscere davvero il porno bisogna studiare. E molto. Ovviamente, però, è necessario anche vedere i film e per farlo in modo tassonomico bisogna anche esserne appassionati. E Adamo, per sua stessa ammissione, lo è. Non si tratta di voler nobilitare a tutti i costi qualcosa che per molti nobile non è, ma per poterne discutere con cognizione di causa il fenomeno, come ogni altro fenomeno, va analizzato seriamente e non a botte di sgomitatine d’intesa e sorrisetti o, peggio, di j’accuse moralistici e disinformati. Che poi il porno sia qualcosa di finalizzato alla masturbazione (soprattutto maschile, ma oggi non solo) è un dato di fatto, ma questo non ne sminuisce certo l’interesse (degli studiosi quanto dei gaudenti) e neppure ne impedisce una accurata esegesi.

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