Approvata una mia risoluzione per l’attivazione di programmi di monitoraggio e assistenza per i pazienti che lamentano il persistere di postumi gravi dopo la guarigione dal Covid19

Nel pieno dell’emergenza pandemica ci si è giustamente preoccupati di curare la fase acuta del contagio da Covid-19. È stato uno sforzo immane di sanità e scienza, che ha portato in tempi record a disporre di vaccini e di protocolli clinici per la cura dei malati. Fortunatamente oggi il numero di questi ultimi è assai lontano da quelli raggiunti prima dell’avvio della campagna di vaccinazione, così come la gravità dei sintomi. Guai, però, ad abbassare la guardia, perché il virus non è stato ancora sconfitto e continua a diffondersi sotto forma di varianti.

C’è un altro aspetto della pandemia da non sottovalutare: già da diversi mesi si parla di sindrome Long Covid, ovvero del persistere di postumi gravi e invalidanti che rendono difficile la vita alle persone anche clinicamente guarite. Si tratta di sintomi di diversa natura, che possono interessare l’apparato respiratorio, cardiovascolare, muscolo-scheletrico, gastrointestinale, o manifestarsi a livello cognitivo, neurologico o psicologico. I ricoveri in terapia intensiva, intubati, a fianco di malati che non ce la facevano a riprendersi, sono stati sicuramente un’esperienza dura da affrontare anche a livello psicologico.

Ecco perché la fase post guarigione caratterizzata dal persistere di complicanze di varia natura va affrontata tempestivamente con interventi specifici, come richiesto esplicitamente dall’Oms che ha invitato i decisori politici a sostenere i pazienti affetti dalla sindrome long Covid, molti dei quali riferiscono di sentirsi stigmatizzati e di non aver sempre ricevuto un’assistenza tempestiva e adeguata.

Da questo scenario è nata la risoluzione che ho presentato in Assemblea Legislativa dell’Emilia-Romagna – e che è stata approvata all’unanimità – per impegnare la Giunta a implementare strategie di studio e programmi specifici di cura e assistenza destinati alle persone con postumi del Covid-19. Interventi mirati in fase di prima manifestazione dei sintomi, esami specifici (spirometria, test del cammino in sei minuti, ecc.) e una riabilitazione precoce raggiungono il classico obiettivo win-win: migliorano la vita di questi pazienti prevenendo la cronicizzazione dei disturbi, e consentono di contenere i costi sanitari delle terapie più impattanti necessarie per trattare disturbi cronici.

In Emilia-Romagna sono già in corso studi molto avanzati su coorti di pazienti che hanno superato la fase acuta della malattia: lo studio (ISARIC – International Severe Acute Respiratory and emerging Infection Consortium) promosso dall’Università di Oxford in collaborazione con l’OMS è coordinato per l’Italia dall’Unità Operativa Ricerca e Innovazione dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma.

Anche l’autorevole Istituto Ramazzini di Bologna, fondato dall’oncologo di fama mondiale Cesare Maltoni, propone un programma di sorveglianza per le persone che hanno contratto il Covid e la realizzazione di studi osservazionali mirati a meglio comprendere la malattia e indagare le ripercussioni a medio e a lungo termine, sia fisiche che psicologiche, in particolare nei pazienti che sono stati ricoverati in terapia intensiva.

Il voto all’unanimità alla mia risoluzione conferma che la necessità di attivare trattamenti della sindrome long è ampiamente percepita e condivisa, nonché un buon viatico per dare attuazione concreta agli impegni previsti nel testo.

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